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    ADDIO PADANIA? - ALLE AMMINISTRATIVE, IL CARROCCIO PERDE AVAMPOSTI STRATEGICI PER ATTUARE LA RIVOLUZIONE FEDERALISTA - “NO COMMENT” ELOQUENTE DA VIA BELLERIO: “COMMENTARE IN QUESTI MOMENTI È COME MANGIARE UNA SCODELLA DI MERDA CON LE BACCHETTE CINESI” - UNICO A VINCERE? TOSI, IL MENO BOSSIANO (O PIÙ MARONIANO) DEI SINDACI - PER BOBO, BISOGNA RIPARTIRE DAL “MODELLO VERONA”: UNA LEGA MODERATA E CREDIBILE, SENZA AMPOLLE DEL DIO PO, TROTE E MIRE SECESSIONISTE…


     
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    Giovanni Cerruti per "la Stampa"

    BOBO MARONI DA CORONA STARSBOBO MARONI DA CORONA STARS

    Appena Bobo Maroni mette il vivavoce, da via Bellerio partono i «Bravo Flavio», «Complimenti», «Sei un grande». Si affollano in tanti, per farsi sentire dal sindaco di Verona. È l'evviva della Lega, che da queste elezioni se la cava grazie a Tosi. Si affollano in tanti meno uno, proprio lui, Umberto Bossi. E si può capire. Nella città meno bossiana ha vinto il leghista meno bossiano, quello che ha rischiato almeno tre volte l'espulsione, «quello che ha portato i fascisti nelle nostre sedi e vuole spaccare la Lega», quello che ha dovuto minacciare di andarsene pur di andare al voto di ieri come voleva lui. E ha stravinto.

    Non ci fosse Tosi le facce di via Bellerio sarebbero quelle dei contabili della moria di sindaci leghisti. Addio a Cassano Magnago, dove è nato Bossi. Addio a Mozzo, dove vive Roberto Calderoli. Addio a Monza, dove Bossi ha chiuso la campagna elettorale e resterà imperituro ricordo del fugace trasferimento di un paio di ministeri alla Villa Reale, nelle intenzioni fulgido esempio di federalismo amministrativo. Però vittoria a Mortara, a Rovato, a Cittadella. Avevano 159 sindaci, fino a ieri. E solo nel pomeriggio di oggi concluderanno il calcolo di quanti pochi son rimasti, dei molti persi, di quanti al pericoloso ballottaggio.

    UMBERTO BOSSIUMBERTO BOSSI

    Ma grazie a Tosi alle sei e mezzo del pomeriggio può cominciare la rapida conferenza stampa di chi l'ha scampata. Si può annotare che cambiano i protagonisti, non c'è Bossi e nemmeno Calderoli. L'unico dei fedelissimi presenti è il senatore Giovanni Torri, che però resta in portineria e non si pronuncia: «Commentare in questi momenti è come mangiare una scodella di m... con le bacchette cinesi». Nella sala al primo piano ecco il mantovano Gianni Fava, il trentino Maurizio Fugatti, il senatore Massimo Garavaglia. Sono loro gli apripista, e da adesso tocca a Bobo Maroni. Affatto mesto, anzi. «La Lega sopravvive, e con successi clamorosi».

    Ci vuol mestiere per evitare l'elenco dei sindaci leghisti ora disoccupati, e così Maroni vira subito su Verona. «È il successo di un modello di candidatura leghista che allarga il consenso e può rappresentare la fase nuova. È un caso molto interessante che vogliamo approfondire. Dobbiamo muoverci sul territorio al di fuori della Lega. Penso che questa sarà la strada per il futuro. Si vedrà dove potremo applicare questo modello, ma come dice una pubblicità: no limits». Sarebbe, questo, il Partito del Nord. O la Lega primo partito del Nord. «A ben guardare - dice Maroni in serata - Tosi ha anticipato lo sfaldamento del berlusconismo».

    UMBERTO E RENZO BOSSI AL SEGGIOUMBERTO E RENZO BOSSI AL SEGGIO

    Dovrebbe esser questo, il modello Verona. Da qui alle prossime elezioni politiche, poco più di un anno di tempo per pescare in quell'area elettorale. Ma se questa è la «fase nuova» ci vorrebbe pure una «Lega nuova», credibile, che si metta a correre su un progetto politico realizzabile, non sui miraggi di Padania e Pontida o di un paio di ministeri da spostare in Brianza. E qui si arriva ai prossimi appuntamenti, ai congressi dei leghisti veneti e lombardi e infine, il 30 giugno, al congresso federale. La nuova Lega di Maroni e Tosi se ha da nascere e deve nascere lì. E sarebbe la fine della Lega di Bossi, già ammaccata dal voto di ieri.

    Il «modello Verona» a Bossi non è mai piaciuto, l'ha boicottato fino all'ultima ora utile e pare si sia arreso solo per stanchezza. Fino alle otto di sera, quando ha lasciato via Bellerio, il vecchio Capo non aveva voluto commentare. Nella sua stanza, con Maroni, qualcosa sul congresso si sono detti, certo, ma con Bossi nulla può essere definitivo. Può aver sostenuto che non si ricandida, e poi qualche ora dopo annuncia che vuole ricandidarsi. Maroni, da oggi, a Roma con tutti i parlamentari, potrebbe dire cosa ne pensa di un'eventuale ricandidatura di Bossi. L'aveva promesso venerdì, che la mantenga non è detto.

    RENZO BOSSI - TROTA E ROSI MAURORENZO BOSSI - TROTA E ROSI MAURO

    In conferenza stampa se l'è cavata evitando quell'elenco di sconfitte. «Abbiamo pagato un prezzo legato a vicende che hanno avuto molto spazio sui giornali, ma nonostante questo la Lega sopravvive». Insomma, non è vero che sia finita o quasi. Non è vero che paga la fine dell'alleanza con il Pdl: «Con loro non avremmo fatto meglio». E non è vero che i voti leghisti siano finiti alle liste Grillo: «Penso che i nostri (ex) elettori non abbiano votato. E se è così sono convinto che da qui alle elezioni politiche li potremmo recuperare tutti. Noi siamo la risposta alla «Questione Settentrionale», Grillo all'antipolitica».

    UMBERTO BOSSI CON I SUOIUMBERTO BOSSI CON I SUOI

    Almeno Maroni non ha parlato di vittoria. Vale solo per Verona e un paio d'altre città. Quel che preme, o almeno così sembra, è lanciare quel «modello», la «fase nuova», la Lega nuova. Ha tentato di spiegarlo, a Bossi. E se andrà a Roma oggi il vecchio Capo se lo sentirà ripetere da parecchi altri parlamentari. «Devo parlare del congresso con Maroni», l'avevano sentito dire venerdì sera, prima del comizio di Monza, al deputato bergamasco Giacomo Stucchi. Perché è il congresso, da ieri, a turbare Bossi e chi ancora lo vuol mandare avanti. Ma se si candida rischia davvero di perdere. Il «modello Verona» non prevede Bossi segretario.

     

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