Matteo Persivale per il "Corriere della Sera"
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Raccontare in un disco, dopo sei anni di silenzio e con assoluta sincerità, il proprio divorzio, le insicurezze, le delusioni, la maternità, la solitudine. E riuscire a vendere mezzo milione di copie in tre giorni e un milione in due settimane (record), intasare Apple Music di pre-ordini (record), fare man bassa di premi. Se gli artisti più grandi sono quelli che raccontano il proprio tempo raccontando se stessi, Adele (33 anni), sta facendo proprio questo. Lo dimostra la reazione - quella è immancabile - dei social media al suo discorso sul palco dei Brit Awards, da lei dominati ancora una volta come «artista dell'anno», «album dell'anno» (per 30 ), e inevitabilmente «canzone britannica dell'anno» per Easy on Me che ha toccato il numero 1 in 27 Paesi.
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Perché se sali sul palco tre volte, e devi fare tre discorsi di ringraziamento diversi, la probabilità di dire qualcosa che offenderà qualcuno, da qualche parte sui social media, diventa quasi una certezza. Così è stato. La reazione alla vittoria per l'album dell'anno non ha suscitato reazioni: ha dedicato il premio «a mio figlio... e a Simon, suo padre. Sono molto orgogliosa di me stessa per aver tenuto duro e aver pubblicato un album che parla di temi molto personali... non capita molto spesso, ultimamente». Poi però ecco la statuetta da «miglior artista dell'anno» ed ecco i problemi.
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Per la prima volta, i Brit Awards sono diventati senza genere, cancellando le categorie di artista maschile e artista femminile, unificate in quella vinta da Adele. Una scelta in sintonia con i tempi che ha intristito nel Regno Unito qualche commentatore ma che prende atto di una situazione pratica dalla quale non si scappa: ci sono adesso - Sam Smith è un esempio ovvio - artisti musicali nonbinari, che non si qualificano cioè in una categoria univoca come maschile/femminile. David Bowie, 50 anni fa, l'aveva già capito e l'aveva spiegato nei fatti, con la sua musica e i suoi look e il suo essere impossibile da ridurre in categorie prefissate, da Ziggy Stardust in avanti.
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Il problema è che Adele, come ha fatto, dice semplicemente «Che notte! Grazie Brits grazie a tutti voi del pubblico, congratulazioni a tutti gli altri vincitori e ai candidati, siete fortissimi! Capisco perché hanno cambiato il nome di questo premio, ma amo davvero essere una donna, amo davvero essere un'artista donna». Prima dei social media sarebbe stata accolta come una dichiarazione innocua: ma il carburante di Twitter e Facebook è l'«engagement», cioè l'interazione tra utenti, e l'indignazione (oltre alle bufale sul Covid come abbiamo visto in questi due anni) fa sempre engagement.
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Ecco così le accuse, più o meno aspre ma riprese con enfasi dalla stampa britannica, di transfobia per Adele, che già ha dovuto subire mesi di critiche social quando dimagrì di 45 chili (scelta considerata offensiva da chi la vede come l'imposizione di un canone estetico). È un terreno delicato. Di sicuro sarebbe (sarà?) complicatissimo «cancellare» un'artista da oltre 100 milioni di copie vendute in carriera (soprattutto nell'era di Internet si tratta di una cifra mostruosa, nel Novecento per avere la musica senza pagare bisognava svaligiare il negozio, adesso basta una connessione internet), così come appare complicato «cancellare» J.K. Rowling, creatrice della saga di Harry Potter.
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