Estratto dell'articolo di Mario Baudino per la Stampa
luciano foa
Fu Guido Davico Bonino a fornire – in un ricordo per un convegno della Fondazione Mondadori i cui atti furono nel 2004 col titolo “L’agente letterario da Erich Linder a oggi” – una di quelle immagini chiave che segnano e riassumono al di là di molte analisi storiche il successo e anzi la centralità dell’Adelphi. Erich Linder è stato l’agente letterario più importante d’Italia, e come disse Roberto Calasso, «forse del mondo», e finché visse fu molto vicino alla casa editrice, visto che era uno di famiglia,
Aveva infatti, per così, dire ereditato l’Ali, l’agenzia letteraria fondata da Augusto, padre di Luciano Foà: e cioè di uno dei due creatori, «fratelli» appunto, l’altro era il triestino Bobi Bazlen, del marchio editoriale, nel 1962. Ma torniamo all’Einaudi, negli Anni Ottanta, dove Davico Bonino, segretario generale, ha la brutta notizia (da Linder) che Alberto Arbasino cambierà editore. «Da voi non farà mai niente» si sente dire, e ci resta male. «Ma scusi - prova a replicare -, è un nostro amico, l'abbiamo preso volentieri». «Sì, sì... – è la risposta definitiva - ma voi non siete abbastanza snob per venderlo».
bobi bazlen
Aveva ragione, commenta Anna Ferrando in un corposo volume edito da Carocci, titolo “Adelphi, Le origini di una casa editrice (1938 – 1994)”. Le date indicano una gestazione molto lunga, 24 anni: la studiosa ricostruisce infatti quella sorta di preistoria in cui, dall’amicizia tra Foà e Bazlen, nacque a poco un’idea che non pareva così nuova, ma si rivelò di enorme successo molto tempo dopo. E’ quella che riassume bene Roberto Calasso (del quale, ricordiamolo, è appena uscito un nuovo libro postumo, L’animale della foresta, dedicato al giovane Kafka) precoce e ancora giovanissimo direttore editoriale, in “L’impronta dell’editore”: «Quando Bazlen mi parlò per la prima volta di quella nuova casa editrice che sarebbe stata Adelphi – posso dire il giorno e il luogo, perché era il mio ventunesimo compleanno, maggio 1962 - accennò subito all’edizione critica di Nietzsche e alla futura collana dei Classici.
roberto calasso
E si rallegrava di entrambe. Ma ciò che più gli premeva erano gli altri libri che la nuova casa editrice avrebbe pubblicato: quelli che talvolta Bazlen aveva scoperto da anni e anni e non era mai riuscito a far passare presso i vari editori italiani con i quali aveva collaborato, da Bompiani fino a Einaudi. Di che cosa si trattava? A rigore, poteva trattarsi di qualsiasi cosa». In concreto dovevano essere «libri unici». Assolutamente necessari.
Il programma di Bazlen era molto semplice: «Pubblicheremo solo libri che ci piacciono moltissimo».
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dago arbore
Snobismo di massa? Perché no: un nuovo pubblico «post-ideologico» non aspettava altro. Ma è stato questo uno degli effetti non previsti né cercati, almeno quando, con l’edizione critica delle opere di Nietzsche (a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari) che Einaudi non voleva pubblicare, Luciano Foà se ne andò da Torino e decise di lanciare una nuova casa editrice a Milano. L’Adelphi guardò subito ad autori e testi spesso definiti irrazionalisti e considerati con grande sospetto dalla cultura di sinistra, anche se poi cedette gratis due racconti di Joseph Roth al quotidiano di Lotta Continua – e Linder si infuriò, si fece pagare i danni per cessione abusiva di copyright e pronunciò giudizi feroci e sprezzanti sul gruppo politico in questione (chissà se Calasso li condivideva, si chiede la Ferrando). La sinistra criticava e pure leggeva, rapita. In altre parole, molti intellettuali non sapevano bene cosa pensare, di questa strana casa editrice che rompeva i tabù ideologici.
Sulle vie additate da Bazlen (morto nel ’64) Adelphi si era addentata nella cultura mitteleuropea, ma nello stesso tempo guardava a Oriente, ai classici del pensiero e del mito per esempio indiano.
kundera cover
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Ma c’erano i grandi romanzi: da Kundera, divenuto come si ricorderà un caso letterario con L’insostenibile leggerezza dell’essere grazie al tormentone di Roberto D’Agostino in “Quelli della notte”, la trasmissione di Arbore, a Simenon; da Joseph Roth a Arthur Schnitzler, da Maray a Maugham, da Muriel Spark a, poniamo, Emmanuel Carrère, «catturato» a Francoforte (come racconta divertito e ironico, senza farne il nome, Matteo Codignola in Cose da fare a Francoforte dopo che sei morto) grazie a un gioco sardonico di nascondimento e avvicinamento, visto che lo scrittore francese era seccato con l’Einaudi – ma l’agente non voleva affermarlo in modo esplicito e insomma non si capiva bene come intavolare la trattativa, fra detto e non detto. Finì con Calasso chiuso una sgabuzzino che preparava l’offerta borbottando, sempre secondo Codignola, «è enorme»: né è dato sapere se si riferisse al prezzo dell’anticipo o all’evento editoriale in sé.
L’aneddotica sull’Adelphi è infinita. Anna Ferrando non la trascura, ma ovviamente approfondisce l’aspetto storico. Si ferma al ’94 perché quello fu in un certo senso il punto di svolta: quando la casa editrice «refrattaria a ogni cornice di contesto» aveva ormai un’immagine indiscussa e un centralità nel mondo dei libri praticamente inscalfibile, in altre parole aveva conservato la sua identità pur conquistando il mercato. Venne coinvolta in polemica durissima e un poco buffa, da parte della destra cattolica, che mai si era scagliata con tanta energia contro un editore. Altro che snobismo di massa, piovvero frementi accuse di satanismo, forse, chissà, si celebrarono esorcismi: per la gioia dei media – e dei conti editoriali.
arbasino cover roberto colajanni roberto calasso con josif brodskij anna ferrando cover ADELPHI 1 adelphi carrere cover