Laura Anello per “la Stampa”
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«Ti piace? La vuoi? Vieni domani che te la faccio vedere». Un tempo, nelle favole, i cattivi proponevano monete d'oro da piantare, caramelle da gustare, collezioni da ammirare.
Questa volta per Diego, chiamiamolo così questo bambino di tredici anni - bambino a tredici anni lo sei ancora, anche se sei cresciuto in fretta - l'incubo si è manifestato con la promessa di comprare una sigaretta elettronica. Ed è stato un incubo di quelli che non vorresti nemmeno sognare, altro che vivere, un'ora e mezza di sevizie legato mani e piedi a una sedia con il nastro da imballaggio, la bocca sigillata, gli sputi in faccia, i calci, i pugni, gli insulti, la minaccia di un coltello: «Adesso ti facciamo a fette». E poi la secchiata di acqua mista a benzina e un accendino brandito come un'arma, vicino alla nuca: «Ora ti diamo fuoco».
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E chi sarebbero gli aguzzini? Due ragazzini poco più grandi - quindici anni - anche loro cresciuti in fretta, poco più che bambini, poco meno che adulti. Adesso arrestati, perché gravemente indiziati, di tortura, sequestro di persona, minaccia, lesioni aggravate e porto di oggetti atti a offendere.
Tutto in un garage di Caltanissetta, la città nel cuore della Sicilia, culla di grani antichi, di torroni artigianali che chiedono ore per cuocere, vita che ancora scorre lenta, apparentemente lontana dalle alienazioni metropolitane. Quartiere Badia, un tempo dominato dal monastero di Santa Croce di cui si tramandano le ricette, colpito dai bombardamenti del 1943, dove oggi i vecchi residenti e gli ultimi artigiani convivono con una forte presenza di immigrati.
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Arancia meccanica è arrivata anche qui, a giudicare dal racconto di Diego che è tornato a casa sotto choc, pieno di lividi, bagnato, puzzolente di benzina, e ha raccontato tutto alla madre. Che è filata dritta a fare denuncia.
Piccolo eroe questo bambino, perché la punizione gli sarebbe stata inflitta per avere alzato la testa contro quei bulli che erano diventati il terrore dei suoi amici, per averne parlato male, per avere detto che così non si poteva andare avanti.
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Così si è presentato all'appuntamento, diviso tra curiosità e paura. Aveva provato a spostarlo a casa sua, quell'incontro, in territorio sicuro, ma quelli gli avevano risposto per Whatsapp: «Ti aspettiamo qui». E lui c'è andato, e gli è bastato poco a capire di avere sbagliato. «Bravo il coglione», avrebbero esordito i due vedendolo arrivare. Non c'è stato, ha raccontato, neanche il tempo di reagire.
Spettatore del suo incubo, si è visto immobilizzato, vittima di una pioggia di schiaffi, di sputi, di pugni sulla nuca e sul petto.
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Dopo un'ora e mezza, quando ormai credeva di morire, il nastro adesivo è stato allentato e la bocca liberata. Ma lì, racconta Diego, è arrivato il colpo più atroce, una botta alle costole: «Guai a te se parli. Hai capito? Guai a te».
«Condotta crudele», «istinto sadico», «fredda determinazione», sono le parole che ha usato il gip di Caltanissetta che ha disposto l'arresto. Una riprovazione che emerge tra le righe del linguaggio giuridico.
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«La condotta degli indagati - scrive - può essere qualificata come crudele sulla base della efferatezza delle violenze fisiche e psicologiche inflitte, protrattesi per più di un'ora, e implementate in via progressiva nella loro afflittività alla dignità umana: passando dallo scherno a condotte violente, umilianti quali sputi, degradanti e insensibili, fin quasi giocare con lo stato psichico della vittima, mettendolo a dura prova dinanzi alla possibilità di essere data alle fiamme, quale ultimo atto sintomatico della ricerca, da parte degli indagati, del mezzo più idoneo a soddisfare un istinto che può essere definito quasi sadico o comunque un atteggiamento interiore riprovevole».
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Tornato a casa, Diego ha provato a nascondere il suo incubo, a tenerselo dentro. Ma a una madre non la si fa. Ha parlato, ha pianto, ha fatto nomi e cognomi. Ha vinto la paura. E questa è l'unica bella notizia di questa storia atroce.
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