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    ADIOS CORRIDA - VISTO CHE IN SPAGNA TUTTO VA BENE, DAL LAVORO ALL'ECONOMIA, I PODEMOS SI DANNO SUBITO DA FARE PER CANCELLARE LA PIU’ ANTICA TRADIZIONE SPAGNOLA: MA QUANTO SONO SCEMI?


     
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    Vittorio Sabadin per “la Stampa”

     

    Nelle elezioni del maggio scorso molte città spagnole hanno eletto sindaci di sinistra. Nel loro programma non c’è solo la solita maggiore attenzione all’economia sociale. C’è anche la fine della più antica tradizione spagnola: la corrida.

     

    Il sindaco di Madrid, Manuela Carmena, ha detto che «non un solo euro di soldi pubblici sarà speso nelle arene». Ad Alicante la corsa dei tori estiva è stata sostituita da una corsa in bici e si terrà un referendum per abolire i combattimenti. Saragozza ha finalmente vietato la festa in cui si legavano fuochi d’artificio alle corna dei tori, Valencia ha bloccato i finanziamenti alla Feira de Julio, Gandia ha bandito le corride, Villafranca de los Caballeros ha cancellato il festival di agosto e destinato i soldi all’acquisto di libri scolastici, Denìa ha depennato la festa del «bous a la mar», nella quale un toro veniva costretto dalla folla a entrare in mare. Barcellona aveva già abolito le corride nel 2011, dopo 600 anni di storia. 
     

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    Espressione artistica

    Non si può che dire bene del nuovo corso animalista della politica locale spagnola. Nel mondo moderno ci si aspetta che il combattimento tra uomini e tori sia una barbara tradizione che si vede raffigurata su antichi vasi greci e romani, non una pratica ancora diffusa nel centro di una capitale europea. Eppure non saranno pochi gli spagnoli che rimpiangeranno la corrida.

     

    Non si tratta di persone rozze e ignoranti: sono uomini e donne di cultura, e quando si parla con loro si resta affascinati dalle argomentazioni con le quali difendono la tauromachia e raccontano del momento in cui, un secolo fa, ha smesso di essere uno scontro selvaggio ed è diventata un’espressione artistica, rinchiusa in una estetica e in una forma. 
     

    I toreri più leggendari
    La popolarità raggiunta dai toreri più leggendari, come Manuel Benitez, Josè Ortega, Joselito, Manolete, non è dovuta a un presunto gusto del sangue dal quale bisogna redimere i barbari spagnoli. È qualcosa di più, un sentimento coinvolgente e impalpabile che molti scrittori, compositori e registi cinematografici hanno cercato di svelare.

    CORRIDA CORRIDA

     

    Ernest Hemingway ha scritto con «Morte nel pomeriggio» il miglior trattato esistente sul combattimento dei tori, ma il libro più rivelatore e coinvolgente è un altro. Molti sono convinti che «Juan Belmonte, matador de toros» di Manuel Chaves Nogales sia il più bel libro spagnolo del XX secolo, e se non è così, poco davvero ci manca. Non è necessario amare o odiare la corrida per trovarlo avvincente.

     

    lea vinces lea vinces

    Racconta la storia del più grande dei matador, nato povero in un quartiere di Siviglia, che scappava di casa tutte le notti da bambino per andare a toreare di nascosto negli allevamenti vicini. Era malato di una forma di rachitismo alle gambe e non poteva fare come tutti gli altri saltando come un clown davanti al toro; stava invece fermo e aspettava che il toro si avvicinasse e lo sfiorasse con le corna. Belmonte, tra il 1914 e il 1920, gli anni d’oro, trasformò così la corrida in una forma d’arte, che mescolava in modo irresistibile eleganza e pericolo.

    l'apprendista torero peruviano joaquin galdos l'apprendista torero peruviano joaquin galdos

     

    La gente del quartiere di Triana lo andava a prendere all’arena e lo portava a casa sulle spalle, perché era uno di loro e ce l’aveva fatta ed era diventato ricco solo grazie al suo coraggio. 
     

    Quando il suo amico Hemingway si uccise nel 1961, Belmonte aveva commentato: «Ben fatto». La rivista «Time», che lo aveva messo in copertina nel 1925, raccontò i suoi ultimi giorni.

     

    MANOLETE MANOLETE

    Il medico gli aveva detto che a causa dell’età e delle 24 gravi ferite riportate in carriera, non avrebbe più potuto fumare sigari, bere, cavalcare e amare una donna. Lui prese alcune bottiglie di vino e una manciata di sigari, montò sulla sua cavalla preferita, Marvella, andò in campagna dove lo aspettavano due vecchie amiche e passò con loro la notte. All’alba prese la sua Browning 6.35 e si sparò. Forse non ci mancherà la corrida, ma i maestosi personaggi che ha forgiato sicuramente sì. 

    JUAN BELMONTE JUAN BELMONTE

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