Estratto dell'articolo di Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera”
adriano pappalardo
«Provino alla Numero Uno in Galleria del Corso a Milano. Tre stanze più ingresso. Mi accoglie Claudio Fabi, papà di Niccolò. “Lucio non lo chiamo sennò si arrabbia”. Si mette al pianoforte. “Cantami Yesterday alla tua maniera”. Attacco. A metà brano la porta si spalanca e sbuca un capoccione di ricci con il foulard alla gola. Battisti.
Quasi mi viene una paralisi. Mi guarda. “E questo chi è?”. “Un mio artista, lo porto alla Durium”, risponde Fabi. Lucio caccia un urlo per chiamare Mogol: “ Giulio! Giulioooo! Viè qua ”. E a me: “Come te chiami? Pappachè? Pappachì? A’ Clà , e tu me lo vuoi fregare? No, sto Pappafico me lo piglio io”». E questo fu il primo incontro (1970) tra Adriano Pappalardo - 78 anni e ruggito inconfondibile («Ci provo a parlare piano ma urlare mi viene naturale») – e il suo mentore/produttore/amico Lucio Battisti.
adriano pappalardo lucio battisti
Al secondo diede una testata al muro.
«Avevamo improvvisato una jam session, io, lui, Mario Lavezzi e Alberto Radius. Tirammo per un’ora e mezza. Preso dalla foga, mi dimenavo. E diedi una craniata allo spigolo, mi colava il sangue sulla fronte però continuavo a cantare. Lucio si preoccupò.
“Oh, che ti sei fatto male?”».
Niente nome d’arte?
«Alla firma del contratto, Mogol era dubbioso. “Pappalardo sembra uno che vende cavalli alle macellerie”. Propose Adrian Peppard. Lucio non era convinto. “Senti Giulio, questo è grande e grosso, ha gli occhi piccoli e neri e un gargarozzo che pare l’ottavo colle di Roma, lasciamogli il suo. O fa il botto o il pubblico lo manda a quel paese”».
adriano pappalardo
Il suo collo in effetti è leggenda. Se l’è mai misurato?
«No, però non era così enorme, solo che quando cantavo spingevo col diaframma e mi si gonfiava la giugulare, le telecamere mi inquadravano sempre lì e parevo King Kong. Renzo Arbore raccontò che portavo una protesi».
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Nel 1972 fece furore al Festivalbar con “È ancora giorno” di Mogol-Battisti.
«In sala di incisione cantavo a occhi chiusi, concentrato. A un tratto sentii una voce in tre tonalità più alte. Mi voltai, era Lucio. Poi però voleva cancellarla. “Non solo ti regalo il pezzo ma pure il coretto? Ma vaff... va”. Alla fine la lasciò. E si piazzò seconda in una hit parade piena di brani di Battisti, dietro a I giardini di marzo . E Lucio: “A’ Pappafì, mica vorrai arrivare primo eh?”».
Diventaste inseparabili.
«Abitava a cento metri da me. Andavamo a fare surf a Bracciano, lui era bravo, ma restava sempre vicino alla riva. Un giorno gli proposi di arrivare ad Anguillara. “Sei matto?” Aveva paura che cadessi e affogassi. Ce l’abbiamo fatta. E non l’ho mai visto così felice».
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Negli studi della Rca conobbe un sacco di gente.
«Lucio Dalla suonava il piffero e faceva strani vocalizzi. Claudio Baglioni cantava le stornellate: “ Me so magnato er fegato… ”. Una sera, al Cenacolo, ritrovo per artisti, vidi Ennio Melis giocare a carte con un capellone con i Ray-Ban. “Ma chi è?”, chiesi. “Venditti, ha scritto un pezzo forte, Roma Capoccia , questo sfonda”. Antonello è uno dei due amici veri nella musica. Tempo fa l’ho incontrato a via Cola di Rienzo, lui a piedi io in auto, dietro c’era il dobermann di mia moglie, che gli si è lanciato addosso. “ Ahò, a momenti me stacca ‘na mano” ».
L’altro è Renato Zero .
«A una presentazione per la stampa arrivò questo tizio vestito di pizzo, lo guardavano tutti ridendo. Mi si avvicinò al trucco. “Ciao, mi chiamo Renato, sono un tuo ammiratore facciamo una foto insieme?”.
Da allora diventammo amici.
adriano pappalardo isabel russinova rimini rimini un anno dopo
Quando è nato mio figlio Laerte voleva fargli da padrino, poi l’ho battezzato io al mare, senza prete. Un giorno stavo al semaforo con la mia Harley, un tipo su una Smart mi suonava il clacson, mi sono girato pronto a mandarcelo. “Non mi riconosci , so’ Renatino!”»
Non c’è Adriano senza “Ricominciamo”.
«Era il 1979, venivo da quattro anni di insuccessi, non mi voleva più nessuno. C’era questa musica. Luigi Albertelli mi chiese: “Cosa vorresti dire?”.
“Vorrei aprire una finestra e mandare tutti affan…o”». «E lasciami gridare/Lasciami sfogare/Io senza amore non so stare».
«Ho venduto 5 milioni di copie. Con la version e spagnola Recomencemos ho battuto pure Julio Iglesias».
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Al cinema debuttò in “A tu per tu”di Sergio Corbucci con Dorelli e Villaggio.
«In una scena dovevo cacciare di casa Villaggio, prendendolo per un orecchio. Non regolai bene la forza. “Ahi! A momenti me lo stacchi”, urlò Paolo. Sul set di Rimini Rimini incontrai Laura Antonelli, una dea. Le confessai: “Ti amo, ma sono sposato”».
Ex suocero di Selvaggia Lucarelli. Come va tra voi?
«Quando mio figlio mi annunciò che si sposava, gli ho detto: “Io non metto il dito”. I primi due anni tutto bene, poi c’è stato qualche scontro, ma ora le voglio un gran bene, è la madre di mio nipote Leon, guai a chi me la tocca”».
E con Leon?
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«Ha voluto che gli cantassi Ricominciamo sul telefonino per tre compagne di classe e il professore. “Nonno, sono tutti tuoi fan”».
In tv va poco e niente.
«Non mi piace più, ci sono solo reality e altre putt...e».
Pure lei però andò all’”Isola dei Famosi”. E fu bandito dalla Rai dopo un litigio trash con Antonio Zequila a “Domenica In”.
«Fu colpa sua, urlò che voleva tagliarmi la gola. E di Mara Venier, che lo lasciò fare per il 25 per cento di share. Io ho avuto il meglio, con Baudo e la Carrà. Faccio solo quello che mi va. Ma ai miei concerti è pieno di ragazzini».
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