Michele Anselmi per "il Secolo XIX"
MARCO MULLERDomandina semplice semplice agli autori del cinema italiano. Se siete così arrabbiati per quanto sta succedendo al Festival di Roma, al punto che molti di voi parlano di «logiche da Minculpop», di «politica che uccide il cinema», di «enorme papocchio portato avanti dalla politica con prepotenza e arroganza fuori luogo», perché, invece di stendere comunicati sdegnati, non cominciate a dire che, per quanto vi compete, non manderete più i vostri film all'Auditorium?
Ormai è chiaro a tutti che Marco Müller, direttore in pectore imposto dall'impagabile coppia Alemanno-Polverini con notevoli strappi alle regole statutarie e al buon gusto, sta muovendosi come un elefante in una cristalleria. Ancora prima di avere la nomina in tasca, il futuro cine-imperatore dei sette colli decide le date, spedisce mail, telefona ufficialmente, gira per festival, facendo arrabbiare un po' tutti per l'incauto atteggiamento. Anche al ministero ai Beni culturali, dove gode di robusti sostegni, pari a quelli trovati presso i due ambiziosi leader del centrodestra, i produttori dell'Anica guidati da Riccardo Tozzi e la Bnl di Luigi Abete.
WALTER VELTRONI GOFFREDO BETTINIOgni giorno il sindaco deve fare retromarcia, rispetto alle fughe in avanti del suo protegé, per evitare che qualche socio fondatore si ritiri dalla partita. Lo sconfortato Gianni Amelio, regista di vaglia e direttore cinefilo del Festival di Torino, da sabato scorsa racconta sui giornali il tono minaccioso e ultimativo di una mail ricevuta da Müller, proprio in merito alle date delle prossime sette (?) edizioni romane.
Michele AnselmiPerfino il sindaco torinese Fassino s'è fatto sentire. A quanto pare, lo sport in voga in quella che va di moda chiamare la "governance" del Festival romano consiste nel rilasciare interviste prima di essere nominati; vale anche per Paolo Ferrari, ex venerabile capo della Warner Italia, che tra oggi e domani prenderà il posto del "dimissionato" Gian Luigi Rondi, in modo da favorire nel consiglio d'amministrazione l'avvento di Müller. Per la serie: se il cda non vota come vogliamo noi, si rifà il cda per renderlo più docile.
GIAN LUIGI RONDIDi fronte a tutto ciò, cari registi italiani, non sarebbe il caso di prendere posizione in modo più netta, sostanziale. Scrivete - cito un comunicato dell'associazione 100Autori - che vi siete sempre «astenuti dall'esprimere candidature o valutazioni sui candidati alla guida di un festival, ma non si può tacere di fronte all'arroganza con cui la politica crede di poter gestire un evento che ha bisogno di trasparenza assoluta e scelte condivise».
Troppo poco, generico. Non che il centrosinistra si comportasse in modo così diverso, checché ne dica Goffredo Bettini: però la sintonia tra i tre enti locali coinvolti, Regione, Provincia e Regione, nel 2006 rendeva tutto più facile, friendly.
GIANNI ALEMANNO RENATA POLVERINIA ogni buon conto, ormai è chiaro ciò che sta avvenendo, anche sul piano degli appetiti elettorali, attorno al Festival di Roma. D'accordo che siamo in Italia, dove la memoria scarseggia e l'ambizione scalpita; tuttavia sarebbe un bel segno se insieme a Nanni Moretti, per la verità da sempre scettico nei confronti della rassegna capitolina, cineasti del calibro di Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Giorgio Diritti, Paolo Virzì, Gabriele Salvatores, Sergio Castellitto, Giuseppe Piccioni, Marco Tullio Giordana, Matteo Garrone, Paolo Sorrentino, Silvio Soldini, Ferzan Ozpetek, Francesca Archibugi, Roberto Faenza, Daniele Vicari, Francesca Comencini, Pupi Avati, Emidio Grieco, solo per citarne alcuni, informassero a stretto giro di posta che non daranno i propri film, se richiesti. I produttori si comportino poi come vogliono, ma loro, gli artisti, non si facciano vedere: né all'Auditorium, sempre che la rassegna resti lì, né al multiplex Moderno o alla multisala Barberini.
Sarebbe un segno concreto, oltre le chiacchiere di questi giorni. Un modo per sbriciolare alcune sottili ipocrisie, un contributo alla chiarezza. Purtroppo è difficile che accada. Appunto perché siamo in Italia: dove si corre sempre in soccorso del vincitore.