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    IL DOLORE MUTO DELLE DONNE - AGLI UFFIZI DI FIRENZE IL BUSTO DI COSTANZA PICCOLOMINI, SCOLPITO NEL MARMO DAL BERNINI E POI FATTO SFREGIARE PER GELOSIA, DIALOGA CON LE FOTO DI VOLTI FEMMINILI FASCIATI CON BENDE BIANCHE PER EVOCARE I TERRIBILI CASI DI CRONACA DELLE GIOVANI SFIGURATE DALL'ACIDO – UN FILO ROSSO-SANGUE CHE LEGA LA VIOLENZA SECENTESCA A QUELLA TERRIBILE DEI GIORNI NOSTRI…


     
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    Emanuela Minucci per “la Stampa”

     

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    Accanto al busto di Bernini dedicato a quello stesso volto prima cesellato con grazia e poi fatto sfregiare per gelosia, le foto di volti femminili fasciati con bende bianche. Appartengono alle modelle fotografate da Ilaria Sagaria ed evocano i terribili casi di cronaca delle giovani sfigurate dall'acido.

     

    Casi come quello di Lucia Annibali o di Gessica Notaro, che hanno avuto il coraggio di denunciare il loro dramma diventando così un simbolo della violenza subita dalle donne. Da una parte una vittima di 400 anni fa, dall'altra il dolore muto di figure femminili che ricordano i manichini di De Chirico. Volti cancellati a cui è stato negato il diritto di continuare a sorridere o guardarsi allo specchio.

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    Un rimando che racconta l'eterno (orrido) ritorno dell'uguale, nella brutalità della sopraffazione maschile inscalfibile dal tempo. È la storia di secoli passati invano, aspettando leggi, maturità, rispetto, coscienza. Vittime di ieri e di oggi della stessa inaudita ferocia compongono la mostra «Lo sfregio Sagaria-Bernini» che resterà aperta agli Uffizi fino al 19 dicembre.

     

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    Ad accostare la violenza secentesca a quella dei giorni nostri è stato il direttore Eike Schmidt. Il museo fiorentino è il «migliore del mondo», secondo la rivista inglese Timeout, proprio grazie alla capacità di raccontare l'arte antica in chiave contemporanea. Stavolta l'argomento è di dolorosa attualità, in vista della «Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne» (il 25 novembre).

     

    Ed ecco che al secondo piano degli Uffizi, vicino al busto di Costanza Piccolomini Bonarelli scolpito nel marmo da Gian Lorenzo Bernini, sono state sistemate le fotografie scattate da Ilaria Sagaria alle tante donne sfigurate da ex compagni e mariti, che si presentano con un velo o una benda sul viso.

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    «Un modo», spiega Eike Schmidt, «per ricordare, attraverso un capolavoro barocco restaurato dalle nostre gallerie, quanto la violenza di genere sia un dramma senza tempo e che tutta l'arte è stata contemporanea». E un invito a riflettere «sull'efferata violenza dei forti contro i deboli». Nel marmo (databile fra il 1637 e il 1638, in prestito dal Museo Nazionale del Bargello) lo scultore ritrasse con naturalezza la propria amante, che era sposata con il mercante Matteo Bonarelli: camicia aperta, pettinatura mossa, bocca socchiusa quasi a suggerire un dialogo.

     

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    Peccato che nella tarda estate del 1638 l'artista, pazzo di gelosia per aver scoperto che Costanza lo tradiva, incaricò un suo servo di sfregiarla. A scatenare l'ira dell'artista contribuì il fatto che il nuovo amante fosse il suo fratello Luigi, che venne rincorso con una spada e percosso fino a rompergli alcune costole e lasciarlo quasi in fin di vita. Dopo aver pagato una pena pecuniaria Bernini fu graziato e proseguì la sua brillante carriera senza conseguenze, mentre la povera Costanza venne reclusa in un monastero per quattro mesi.

     

    Tornata in libertà, la donna fu riaccolta in casa dal marito, con il quale dette vita a un fiorente commercio di sculture: in lei oggi è riconosciuto un emblema della capacità di riscatto. Nel ciclo fotografico di Ilaria Sagaria, dal titolo «Il dolore non è un privilegio», si ricorda che, esattamente come allora, è il volto delle vittime il bersaglio privilegiato da colpire, investendolo con sostanze corrosive che bruciano la pelle e erodono ossa e cartilagini, condannando così queste donne a un calvario fisico e psicologico.

     

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    «La violenza tramite acido è un fenomeno globale che non è legato all'etnia, alla religione e tantomeno alla posizione sociale e geografica», ha spiegato la fotografa, «e oltre alla brutalità fisica causata da un gesto inumano c'è il trauma psicologico da affrontare: la perdita dell'identità, la depressione e l'isolamento. Le vittime, uscite dall'ospedale, eliminano gli specchi, le vecchie fotografie, tagliano con il passato e con qualsiasi cosa che possa mostrare loro quello che non può più tornare». Attraverso queste immagini, ha concluso, «ho ricostruito un racconto che potesse restituire questi momenti concentrandomi sull'aspetto psicologico del trauma subito e sul concetto di identità perduta».

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