Estratto dell’articolo di Massimo Calandri per repubblica.it
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Il segreto è non mangiare frutti di mare. Ed evitare le cameriere che sorridono: soprattutto, quelle che si chiamano Suzie. Sabato sera va in scena la rivincita, sono 28 anni che gli All Blacks inseguono fantasmi e aspettano questo momento: raccontano che il giorno dell’altra finale — 24 giugno 1995 — metà di loro aveva le gambe molli e vomitava a bordo campo. Jonah Lomu, implacabile e implaccabile, sul prato verde sembrava un gigante fatto di stracci. Tutta colpa di Suzie, la cameriera che scherzava sempre.
E che due sere prima della partita aveva servito in tavola alla squadra neozelandese la “specialità di Johannesburg”: gamberoni, vongole, scampi. Cosa? Ma l’Oceano è lontano 600 chilometri! Troppo tardi. Quei bestioni si erano già divorato tutto. Il risultato della fantomatica trappola tesa dai padroni di casa consegnò la William Webb Ellis Cup agli Springboks, che — rinnegato l’apartheid — per la prima volta partecipavano ai Mondiali ovali.
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Anzi, li organizzavano a casa loro. Il presidente Nelson Mandela, berretto verde e maglia numero 6, passò il trofeo d’argento nelle mani del capitano bianco e afrikaan, François Pienaar. La partita che costruì la Rainbow Nation: bianchi e neri, finalmente uniti sotto una sola bandiera. Invictus, la partita celebrata da Clint Eastwood: il drop nei tempi supplementari di Joel Stransky, che regalò un epico successo alla nazione arcobaleno.
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Sabato sera (ore 21, Sky e Raisport) allo Stade de France, Parigi, le due squadre del mondo di sotto, padrone della Terra ovale, si ritrovano di nuovo nella finale dei Mondiali di rugby. Nel frattempo hanno vinto altri 2 titoli iridati a testa. Gli All Blacks nel 2011 e 2015 (dopo quello del ’91), a coronamento di un’epoca d’oro. I sudafricani nel 2007, proprio in Francia, e nell’ultima edizione giapponese del 2019. Così diversi, e uguali. Gli Springboks, campioni in carica, hanno completato la loro transizione: nel ’95 schieravano il solo Chester Williams, poi sono arrivate le “quote nere” e il rugby in Sudafrica non è stato più patrimonio esclusivo afrikaan. Siya Kolisi, figlio del ghetto di Zwide, dal 2018 è il primo capitano nero: darebbe la vita per Rassie Erasmus, stratega bianco e geniale come uno scugnizzo. Il mondo capovolto. Bongi Mbonambi, tallonatore nero, per un insulto che avrebbe rivolto all’inglese bianco Tom Curry, è stato accusato di razzismo e assolto. Il Sudafrica resta ancorato ai giganti della mischia: in panchina azzarda 7 sostituti tra gli avanti e un solo tre-quarti.
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La Nuova Zelanda, arrivata sottovoce ai Mondiali francesi, è cresciuta una partita dopo l’altra, strapazzando anche l’Italia. Will Jordan, ala degli All Blacks, ha già raggiunto il record di mete (8) di Lomu, che nella finale nel ’95 restò all’asciutto. Ma giura di essersi tenuto lontano dai frutti di mare. E dal fantasma di Suzie.
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