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    AL DUCE PIACEVA MAGNA’ PESANTE – SUL LAGO DI COMO L’ULTIMO PASTO DI MUSSOLINI: IL 28 APRILE 1945, IGNARO DELLA SORTE IMMINENTE, IL CAPO DEL FASCISMO ACCETTÒ PANE E SALAME OFFERTO DA UNA DONNA DI BONZANIGO. CLARETTA PETACCI INVECE CHIESE UNA COLAZIONE CON POLENTA E LATTE PERCHÉ GIUDICÒ IL SALAME “TROPPO PESANTE” DA MANGIARE AL MATTINO (EINVECE LA POLENTA...) - TUTTO TERMINÒ CON...


     
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    Estratto dell’articolo di Jacopo Fontaneto per La Stampa

     

    mussolini mussolini

    Pane e salame per l’ultimo pasto di Mussolini. Una colazione che, invece, Claretta Petacci giudicò “troppo pesante”, è così l’amante del duce chiese un pezzetto di polenta avanzata dalla sera precedente, latte e un po’ di caffè. Sarebbe stato l’ultimo pasto dell’era fascista, qualche ora prima che una scarica di mitra chiudesse per sempre il capitolo del ventennio nero davanti al cancello di villa Belmonte a Giulino di Mezzegra. Un epilogo che, quasi ottant’anni dopo, vede ancora molti punti oscuri sulle ultime ore di Mussolini e su chi o quanti, effettivamente, avessero preso parte all’esecuzione: ma questa è un'altra storia.

    claretta petacci claretta petacci

     

    (...) Fatto è che i partigiani fermarono il convoglio tedesco già a Musso, in alto lago, accorgendosi quasi subito della presenza del duce: erano le 16 del pomeriggio del 27 aprile.

     

    A questo punto, i tempi fissati dall'orologio diventano importanti anche per il nostro marginale racconto gastronomico delle ultime ore di Mussolini: alle 18.30 i comandanti partigiani trasferirono il duce nella caserma della Guardia di Finanza di Germasino, appena sopra Dongo. Qui si ricongiunse nuovamente con la Petacci (che non era stata ovviamente fatta salire sul camion tedesco), qui i due consumarono l’ultima cena, che i militari della Guardia di Finanza fecero preparare dai gestori dell’osteria del paese, Giovanni Chiaroni e Teresa Mazzucchi. Il menu: pasta in bianco con un pezzetto di burro e capretto arrosto. Riguardo al primo piatto non sfugge la nemesi, pure involontaria, con i “maccheroni antifascisti” (sempre in bianco) preparati dai fratelli Cervi il 25 luglio di due anni prima a Campegine proprio per festeggiare la caduta del duce. Ovviamente a nessuno, tantomeno ai proprietari dell’osteria erano state date informazioni sui destinatari di quel pasto che, in ogni caso, avrebbero consumato in caserma! Il capretto arrosto, invece, è ancor oggi uno dei piatti più diffusi e identitari della Tremezzina, dove si allevano anche razze rare in via di estinzione come la capra di Livo originaria della valle del Liro. Niente vino, ma acqua e spuma.

    pane e salame pane e salame

     

     

    Atmosfera tesa, si temevano colpi di mano per liberare il duce. Di fatto, nessuno sapeva dove metterlo, fino a che – sono le 3 di notte – venne portato con la Petacci a casa dei De Maria a Bonzanigo, frazione di Tremezzina: bendato, non viene riconosciuto dai due contadini, Giacomo e Maria (detta Lia) ai quali fu presentato dai partigiani come un soldato tedesco in fuga insieme alla donna: «Li tenete qui, fuori piove e non sappiamo dove portarli».

     

    (...)

    BENITO MUSSOLINI BENITO MUSSOLINI

     

    Emergono particolari interessanti, in particolare sull'ultimo pasto del duce, colazione o pranzo? In realtà si sarebbe trattato di un late-breakfast, per dirla all'inglese: Mussolini e la Petacci, esausti, avrebbero dormito per buona parte della mattinata. Ignari della loro sorte imminente, il duce accettò il pane, il salame e un pezzetto di burro offerti dalla signora Lia, ma la Petacci avrebbe chiesto una colazione più leggera, con polenta e latte, ritenendo il salame “troppo pesante da mangiare al mattino”. Altro particolare, il caffè consumato dai due, mentre si è sempre scritto che Mussolini, per timore di essere avvelenato, non avesse accettato nessuna bevanda.

     

    benito mussolini benito mussolini

    Altro particolare interessante è la segretezza, almeno iniziale, sull'identità dei due: all'arrivo a casa De Maria Mussolini venne tenuto bendato, ma la Petacci? Bè, era poco o nulla riconoscibile per i contadini di un borgo isolato di montagna in tempi in cui la televisione non esisteva ancora e in cui l'unica stampa di regime faceva ovviamente attenzione a non pubblicizzare affatto l'immagine dell'amante del duce. Mimetizzazione riuscita a tal punto che Giacomo De Maria, correndo voce che “doveva passare Mussolini in paese” era andato fino al borgo, ancora ignaro di avercelo in casa!

     

    Il resto della storia resta avvolta ancora dal mistero delle più versioni raccontate: tutto termina, in ogni caso, con i corpi senza vita di Mussolini e della Petacci crivellati davanti al cancello di Giulino di Mezzegra. La brutta avventura del fascismo finiva così, dopo un'ultima fetta di salame e un cucchiaio di polenta e latte, sulla quinta di scena di un lago di Como dove, finalmente, non pioveva più.

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