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    LASSISMO E POLITICAMENTE CORRETTO: LA FOLLIA AL RIGHI - FINISCE SOTTO PROCEDIMENTO DISCIPLINARE LA PROF CHE HA OSATO DIRE "MA CHE STAI SULLA SALARIA?" ALLA STUDENTESSA CHE, IN CLASSE, SI STAVA FACENDO UN VIDEO PER TIKTOK - LA PRESIDE PRECISA: "NESSUNO HA RIMPROVERATO LA RAGAZZA PER L'ABBIGLIAMENTO SUCCINTO, SOLO CHE NELL'ATTO DI FARE IL VIDEO LE SI È ALZATA LA MAGLIETTA E LA PROF HA TEMUTO CHE POTESSE ESSERE UN ATTEGGIAMENTO EQUIVOCO. VOLEVA PROTEGGERLA" - MA LA QUESTIONE VERA E': E' NORMALE FARE VIDEO IN CLASSE? PERCHE' I RAGAZZI NON LASCIANO IL TELEFONINO PRIMA DI ENTRARE A SCUOLA? VANNO IN AULA PER STUDIARE O PER CURARE I LORO SOCIAL?


     
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    1 - RIGHI, LE SCUSE DELLA PRESIDE «LA PROF È STATA SUPERFICIALE MA IL VIDEO IN AULA NON SI FA»

    Camilla Palladino per il "Corriere della Sera"

     

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    «Ho usato un'espressione infelice ma certamente non volevo offendere la ragazza, tantomeno parlare di prostituzione. Volevo solo evitare che mettesse quel filmato sui social». Così si è difesa, davanti alla preside del liceo «Righi», la professoressa finita sotto accusa per aver richiamato - dicendole che con il suo comportamento poteva andare «sulla Salaria» - una studentessa che, con la pancia scoperta, stava girando in classe un video da postare su Tik Tok. Nei suoi confronti è stato avviato un procedimento disciplinare e adesso è proprio la dirigente scolastica, Cinzia Giacomobono, a chiarire che cosa sia successo.

     

    «La professoressa era stata mandata a vigilare sulla classe durante l'ora di buco, ha più volte ripetuto che non voleva offendere nessuno, intendeva salvaguardare la studentessa e la sua onorabilità impedendole di mettere in rete un potenziale video sconveniente». E aggiunge: «L'insegnante ha ammesso di aver usato in modo superficiale un'espressione infelice, usata nel gergo colloquiale».

     

    Di questo, sottolinea la dirigente scolastica, «ce ne assumiamo la responsabilità e chiediamo scusa». Ma ricorda anche che «a scuola la responsabilità dei ragazzi è nostra, la professoressa ha fatto solo il suo lavoro. Girare video a scuola non è ammissibile»: l'uso del cellulare negli istituti è vietato, così come «riprendere gli ambienti scolastici.

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    Non ritiriamo i telefonini degli studenti all'inizio delle lezioni perché sarebbe eccessivo, ma non li si potrebbe accendere». Inoltre, ci tiene a sottolineare la preside, «nessuno ha rimproverato la ragazza per l'abbigliamento succinto, anche perché era vestita in modo normale. Solo che nell'atto di fare il video le si è alzata la maglietta e la professoressa ha temuto che potesse essere un atteggiamento equivoco. Voleva proteggerla».

     

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    Per quanto riguarda il codice di comportamento del Righi, «noi chiediamo un abbigliamento consono - afferma Giacomobono - ma non siamo lì con il fucile spianato. Nulla in contrario a gonne o jeans strappati, vogliamo solo sobrietà. Citare il Medioevo, come è stato fatto ieri, è fuori luogo».

     

    La dirigente comunque sostiene di aver optato per la strada della diplomazia: «Ho cercato di rispettare la sensibilità della ragazza e degli studenti perché se uno riceve un'accusa che ritiene essere offensiva, è giusto che io lo rispetti. Ed è giusto anche che i ragazzi combattano contro le ideologie che reputano sbagliate, come il sessismo. Non è mia intenzione negare nulla. Ho aperto un'istruttoria, per cui la professoressa dovrà relazione su quanto accaduto.

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    Ma non per questo mi sono schierata da una parte o dall'altra». La protesta degli studenti «ha amareggiato gli insegnanti - sostiene Giacomobono - perché in questa scuola si spendono tanto per loro. Fanno molto più del loro dovere e sono molto dispiaciuti di essere stati screditati». Non solo: «I temi del cyberbullismo e dei rischi sui social media vengono affrontati spesso nelle aule del Righi». Un lavoro che viene apprezzato da molti cittadini che conoscono l'istituto, viste le «numerosissime mail, telefonate e lettere che sto ricevendo in questi giorni come attestazioni di solidarietà», conclude la preside.

     

    2 - BALLO E OMBELICO NO AI MORALISMI MA ATTENTI ALLE FALSE LIBERTÀ

    Dacia Maraini per il "Corriere della Sera"

     

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    Interrompere ogni tanto una lezione per mettersi a ballare non mi sembra una cattiva idea. Soprattutto in questi tempi di mascherine e immobilità davanti ai computer. Siamo tutti stanchi e con la schiena irrigidita dai doveri che la pandemia ci sta imponendo. Capisco però chi si è preoccupato, come è successo al liceo Righi di Roma, quando una ragazzina ingenua e piena di voglia di vivere si è messa a ballare in classe. Un atto innocente su cui non ci sarebbe niente da dire se non si fosse venuti a sapere che quel ballo era registrato e indirizzato a dei frequentatori della rete.

     

    Quando si balla, lo si dovrebbe fare per il piacere del ballo e non col fine di mandare le proprie immagini a un pubblico che ne farà materia di commercio. Spesso chi si mostra sulla rete non si rende conto che ormai tutto ha un prezzo e qualsiasi innocente esibizione viene utilizzata per propagandare prodotti vari. Ma sembra che il ballo non sia tanto in questione, quanto il modo di vestire della scolara. La docente, rimproverandola, ha usato un termine spregiativo mostrando un moralismo che giustamente i ragazzi rifiutano.

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    Ma vorrei ricordare a quelle ragazze che gli abiti non esprimono affatto libertà, ma consenso a scelte che non vengono decise da noi. Spesso mi sorprendo a vedere con quanta facilità le persone (di tutte le età purtroppo) acconsentano ai capricci della moda che cambia inseguendo interessi precisi. Un anno si usano le scarpe a punta che fanno male ai piedi? Tutti si buttano a comprarle. Un altro anno vanno i jeans stracciati, coi buchi sulle ginocchia? Si corre a comprarli anche che se costano più di quelli sani.

     

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    Un altro anno ancora si usano i tatuaggi apprezzatissimi dai calciatori? Chi non si precipita a farsi imbrattare la pelle con l'inchiostro all'anilina è considerato un antiquato moralista. Ora per esempio non vanno più i piumini tanto comodi perché leggeri e caldi e vediamo apparire nelle vetrine dei cappottini smilzi, fatti di lana povera, colorati o a quadrettoni. E noi li indossiamo sicuri che si tratti di una nostra nuovissima idea.

     

    Tutto questo per dire: facciamo attenzione quando parliamo di libertà, perché mentre ci consideriamo autonomi ed emancipati nel mettere in mostra l'ombelico o nel tagliarci i capelli alla Kim Jong-Un, ci sono delle aziende che gongolano per essere riuscite a imporre le loro scelte costose. Non ho niente contro le mode, le trovo divertenti e a volte teatrali. Ma pensare che seguirle sia un atto di libertà è un falso ideologico.

     

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    Terza ragione per cui il ballo in classe risulta fuori luogo: gli spazi in cui ci muoviamo hanno una loro identità simbolica che non si può trascurare. Non si va in Chiesa in costume da bagno, non si va a teatro in tuta da ginnastica, non si va in Parlamento in calzoncini corti e infradito, così non si dovrebbe andare a scuola come si va in discoteca. Ogni luogo ha la sua sacralità da rispettare e la scuola più di altri luoghi va onorata proprio perché da decenni è stata dissacrata e va riportata alla sua dignità di centro comunitario del pensiero, della conoscenza e della democrazia.

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