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    ALL’ESORDIO IL BAZOOKA DI DRAGHI HA ARRICCHITO PIÙ DI TUTTI LA GERMANIA, CHE ERA IL PAESE PIÙ DUBBIOSO – I PIÙ GETTONATI SONO STATI I TITOLI A 5 ANNI DI BERLINO, MENTRE QUELLI A 10 ANNI ORMAI RENDONO QUASI ZERO MA VANNO A RUBA LO STESSO


     
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    Ugo Bertone per “Libero quotidiano

     

    Il Quantitative Easing fa bene. Alla Germania più che a tutti gli altri, a giudicare dall’andamento del primo giorno. Fin dalla mattina, infatti, sono stati i titoli tedeschi a cinque anni più i bond di alcune agenzie paragovernative i più gettonati dalla domanda, nonostante i rendimenti ormai schiacciati verso lo zero: il titolo a dieci anni di Berlino rende ormai solo lo 0,34%.

     

    bundesinnenminister wolfgang schaeuble propertyposter bundesinnenminister wolfgang schaeuble propertyposter

    Di riflesso, nonostante il Btp sia sceso ad un nuovo minimo dell’1,29%, lo spread è tornato ad allargarsi fino ad un massimo di 98 punti. Insomma, il Qe fa bene soprattutto ai più ricchi. E la conferma arriva dall’ennesima, pessima giornata della Borsa greca -4,18%. Ieri i ministri delle Finanze Ue hanno riservato alla delegazione greca un’accoglienza gelida.

     

    «Non ci sarà alcun esborso prima di un accordo che preveda scadenze chiare e precise sugli impegni» ha sillabato Jeroem Dijssembloem, presidente dell’Eurogruppo. E così la Grecia, per evitare una frattura drammatica (a fine mese non ci saranno nemmeno i soldi per gli stipendi) ha dovuto dirsi pronta a rifare i compiti, ovvero a modificare il piano di impegni con l’Europa.

     

    Ma la tragedia greca non ha pesato più di tanto sull’andamento del Qe, all’insegna degli acquisti sui titoli tedeschi, sempre più rari. Il fenomeno ha una facile spiegazione: le modalità del piano Draghi prevedono che ciascuno compri i titoli di casa propria. E la Germania, cui spetta lo shopping più impegnativo, sta facendo il pieno dei (pochi) titoli in circolazione, aggiungendo alla borsa della spesa le emissioni di agenzie paragovernative. E l’Italia? Non c’è da lamentarsi.

     

    mario draghi e janet yellen mario draghi e janet yellen

    Non solo per i primi interventi della banca centrale (di qui al settembre 2016, conferma via Nazionale, Banca d’Italia comprerà Btp e Cct per 130 miliardi, cui si aggiungeranno altri 20 miliardi a cura della Bce) che lasciano far sperare in un ottimo risultato delle aste del Tesoro di metà mese (stavolta assai impegnative) ma anche per la reazione della Borsa che continua a macinare sedute in terreno positivo.

     

    Ieri il mercato ha messo a segno un rialzo nell’ordine dello 0,6%, portandosi su valori che non si vedevano dal febbraio 2011. Ma l’indice All Share, che è costituito da tutti i titoli e non solo dai 40 più importanti, è arrivato ai massimi da cinque anni. Anche gli analisti più prudenti, a questo punto, stentano a trovare motivi per predicare cautela: la Borsa macina record anche sulla spinta dell’apprezzamento dei Big della finanza americana, in genere cauti sulle sorti del mercato italiano.

     

    Un report di Goldman Sachs, ad esempio, è stato ieri all’origine del boom delle banche Popolari, a partire da Bper. Intanto, la notizia che Gazprom continua a pagare l’affitto delle navi prenotate da Saipem per il contratto SouthStream, cancellato mesi fa dal Cremlino, ha prorogato un’impennata del titolo della società del gruppo Eni. In questo quadro, le vere sorprese potrebbero arrivare dall’euro che ieri è scivolato ai minimi dal 2003 sul dollaro a quota 1,0836 (-9% da inizio anno).

     

    draghi tsipras draghi tsipras

    Ma anche da altre valute a partire da quella cinese. Ieri JP Morgan ha pubblicato uno studio sul comportamento dei banchieri di Pechino. Ebbene, nell’ultimo anno i prestiti in renmimbi sulle piazze internazionali si sono ridotti a 250 milioni, quelli in dollari si sono mantenuti stabili. Ma le richieste di euro, accompagnate dagli investimenti nel Vecchio Continente, sono esplosi: quasi 3 miliardi di dollari da primo gennaio, più che nell’intero 2014. La Cina, che ha svalutato del 13 per cento rispetto al dollaro negli ultimi 12 mesi, preferisce far shopping nell’eurozona, meno cara degli Usa. Il rischio, ammonisce Merrill Lynch, è che questo fenomeno potrebbe innescare una guerra valutaria.

     

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