Barbara Alberti per Dagospia
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Alcune pagelle dei giornali su Sanremo mi sono parse avare. Questo Festival ha avuto una enorme importanza catartica: ha rubato la scena al Covid. Finalmente! Da tempo, ascoltata con interesse dal mio cane, chiedevo una moratoria a tutti i mezzi di comunicazione: non parlare di Covid per 24 ore, per disintossicarci dalla follia univoca del virus superstar, che è ormai diventato l’unico argomento, l’unica musa. Ci voleva un gesto per spezzare questa epidemia della chiacchiera, peggiore dell’altra, che dissecca lo spirito. Quel gesto è stato Sanremo.
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Per 5 giorni e 5 notti l’Ariston ha sgominato l’epidemia. Più efficiente del generale Figliuolo. Da giovani, quando eravamo dreamers come nel film di Bertolucci, fuggivamo il festival quale simbolo del salotto buono, roba da vecchi (nonostante i cantanti di cui andavamo pazzi, fra cui Mina Modugno Celentano). Non mancarono in passato momenti di surrealtà - la veemente eresia di Grillo, Chiambretti che scende volando dal soffitto dell’Ariston con un paio d’ali. Ma più spesso si indulgeva al perbenismo rituale.
Di soppiatto, a passi di clown, con Amadeus e Fiorello è entrata la poesia (etimologia della parola è fare, creare, scombinare il gioco). L’anno scorso crearono quel capolavoro dell’assenza col teatro deserto, specchio delle nostre case dove stavamo rinchiusi, e quei due disperati si inventavano un continuo fuoco d’artificio per salvare la festa. Riuscirono ad animare il vuoto, trasformando in personaggi le sedie spoglie. L’animatore è quello che dà l’anima alle cose. Calarono un poco gli ascolti, ma resterà un miracoloso unicum nella storia dello spettacolo.
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Il festival del 2022 è un festival con l’anima. Ce l’hanno tutti. Ce l’ha Amadeus che crede in Sanremo come in una fede. Ce l’ha Fiorello che irrompe, Diòniso di paese, porta la vita e il gioco, impone baci farseschi e maliziosi. Ce l’ha Zalone maestro dell’atellana, la farsa sboccata della latinità, l’unico che può essere pecoreccio senza mai essere volgare, perché ha la sfrontata finezza dell’innocenza.
E cantando Pandemia ora che vai via, la canzone del virologo (cugino sfigato di Albano, finché il Covid non ne fa una star), col suo inno liberatorio ci vendica tutti. Ce l’hanno - l’anima- le coconduttrici (nonostante la parola ridicola, che evoca un chiocciar di poll).
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Ce l’ha l’amabile filosofa Sabrina Ferilli ilare e profonda, Maria Chiara Giannetta mobile e spiritosa, la toccante Lorenza Cesarini, Ornella Muti che confonde i maschi, nonna all’anagrafe, fanciulla nel sembiante. E il grande evento del festival: Drusilla Foer, gentildonna fiorentina che tratta tutti come maggiordomi, a cominciare dal padrone di casa.
Signora aristocratica di un tempo che forse non c’è mai stato, di un garbo impertinente, viene dalla luna. E’ impaziente, snob, populista e classista, assolutista e dubbiosa. Drusilla è inammissibile, vola sopra ogni correttezza. Di una simpatia a un passo dalla commozione. Uno scandalo dell’intelligenza. Cosa mi piace in un uomo? Le donne dicono sempre lo sguardo, la voce…a me interessano le natiche e la casa.
Nel canto la sua voce può essere limpida, femminile, o roca e potentissima, può farle fare tutto, dal jazz alla canzone napoletana. Drusilla è così diversa da rifiutare la parola diversità, preferisce Unicità. Diversa fra i diversi, Drusilla non è la bandiera glbt, non è la bandiera di nessuno.
damiano dei maneskin a sanremo
Per questo ci riguarda tutti. Così è l’arte. Non è la bandiera nemmeno di se stessa. Difatti sono due, la nobildonna e Gianluca Gori, suo autore e interprete, il suo alter ego, un giovanotto alto e gentile. Nato in una famiglia di teatranti, la sua baby-sitter fu il teatro. Noi folle disperate ingannate sfruttate contagiate abbiamo bisogno della follia e del meraviglioso. In Drusilla lo troviamo. Nei commenti si è insistito molto su un festival come dichiarazione di libertà creativa e sessuale. Un festival della metamorfosi.
Le canzoni da molto tempo sono solo l’ornamento della traversata del costume che è Sanremo, ultimo rito liturgico collettivo, dopo lo stadio. Momenti di pieno godimento con Pausini, Elisa, Morandi sedicenne per sempre nell’entusiasmo e nella voce, Ranieri con la sua bella canzone romanzesca. Con Donatela Rettore e La Rappresentante di lista, una lezione di rock, pura vitalità ritmo sfrenato e giocoso, ma sempre con qualcosa di tremendo.
damiano dei maneskin a sanremo 2
Per stemperare l’agiografia, qualche critica. Achille Lauro è bravissimo ma si crede un ribelle, mentre sta diventando una copertina di Vogue. Lauro, Lauro, Mick Jagger se lo tirava fuori in concerto, non faceva quei gestini timidi di ravanare vagamente alla sommità della zeep, alludendo allo sbottonamento, restando a metà. Voglio ma non posso. E allora sarebbe meglio tenere le mani a posto.
barbara alberti a la confessione 4
Come sono per bene i nostri nipoti. E’ molto più rock Orietta Berti, con le sue mises sfrenatamente teatrali. Anche i I Maneskin, travolgenti, magnifici, musicalmente superbi. Normali. I discendenti educati dei Rolling stones. Quelli erano pericolosi. I Maneskin sono dei bravi ragazzi travestiti da nonni, cioè come ai miei tempi. Dei Rollng stones formato famiglia.
mick jagger
Ora che il festival è finito, invece del cugino di Albano ci ritroveremo i virologi veri. Pazienza. Intanto abbiamo ripreso fiato, una tregua c’è stata.
barbara alberti foto di bacco
drusilla foer UNA DELLE PRIME APPARIZIONI DI DRUSILLA FOER ZALONE checco zalone show 2009 1 fiorello amadeus 11 amadeus fiorello mick jagger