Emiliano Fittipaldi per “la Repubblica”
«Se il Giglio Magico appassisce, Matteo rischia di crollare. Ha spadroneggiato affidandosi ai suoi fedelissimi per tre anni, e fuori dal cerchio dei compari ha coltivato solo nemici.
LUIGI MARRONI
Ora rischia di pagare le conseguenze di scelte scellerate». A Palazzo Chigi i renziani sono preoccupati perché hanno capito che l' affaire della Consip, al di là delle accuse penali tutte ancora da dimostrare, è innanzitutto uno scandalo politico.
E che può travolgere l' intero sistema di potere "made in Toscana" che l' ex boy scout ha esportato nell' avventura di governo, piazzando nell' esecutivo e nei posti chiave della pubblica amministrazione amici di famiglia, consiglieri di vecchia data, collaboratori storici e leopoldini, a discapito troppo spesso del merito, dell' esperienza e delle capacità.
angelino alfano saluta luigi marroni della consip
L'inchiesta Consip, soprattutto, mette in evidenza - e non per la prima volta - un groviglio armonioso tra interessi pubblici e vicende privatissime, una gestione del potere a volte opaca e un' eccesso di spregiudicatezza che ha caratterizzato il modus operandi di alcuni pezzi da novanta del Giglio Magico.
«Siamo persone per bene», si difende ora Luca Lotti, che sa bene che ad oggi la posizione più scomoda è proprio la sua. Ministro dello Sport del governo Gentiloni e fino a qualche mese plenipotenziario di Matteo a Palazzi Chigi, è indagato per favoreggiamento e divulgazione di segreto perché nel luglio 2016 secondo il suo (ex?) amico Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip, lo avrebbe messo in guardia sull' esistenza dell'inchiesta della magistratura sulla stazione appaltante.
LUCA LOTTI
Specificando addirittura come i magistrati napoletani stessero usando intercettazioni telefoniche e microspie, poi effettivamente trovate da Marroni. Una presunta soffiata che ha danneggiato un'indagine giudiziaria delicatissima, la cui origine è stata confermata anche da un altro renziano doc come il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni. Che ha dichiarato, in un interrogatorio con i pm successivo a quello di Marroni, «che fu Luca Lotti a dirmi che c'era una indagine su Consip».
Marroni ha parlato con i pm anche di Tiziano Renzi, altro petalo del Giglio, e non in termini propriamente benevoli: ha detto ai pm di Napoli che in un incontro gli presentò il presunto faccendiere Carlo Russo, e in un altro faccia a faccia gli chiese espressamente di "assecondare" le volontà dell'amico. «Russo mi ricattava dicendo che Tiziano Renzi e Verdini erano arbitri del mio destino professionale».
TIZIANO RENZI
Non sappiamo se il papà di Matteo e l'ex macellaio Denis abbiano davvero concertato un gruppo di pressione per spingere il loro vecchio sodale Marroni a condizionare un appalto da 2,7 miliardi di euro. È un fatto che i due toscani si conoscano da oltre dieci anni, e che abbiano anche lavorato insieme: Verdini, quando editava il Giornale della Toscana, decise di affidarsi alla Chil Post, società di distribuzione al tempo controllata da Tiziano Renzi. Proprio per presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici per il suo giornale (oltre che per la bancarotta fraudolenta della banca Credito cooperativo), due giorni fa il coordinatore di Ala è stato condannato in primo grado a 9 anni di carcere.
RENZI VERDINI
È in quel periodo che i rapporti tra Matteo, giovane presidente della provincia di Firenze della Margherita, e il macellaio forzista diventano sempre più stretti. Spesso mediati dal «gemello diverso» di Matteo, Luca Lotti.
Se qualcuno sostiene, senza prove, che nel 2009 al ballottaggio per il Comune di Firenze Verdini sostenne il trionfo renziano non aiutando a dovere il candidato di Forza Italia Giovanni Galli («A sostenermi non è venuto nessuno» disse l'ex portiere azzurro «Avrei perso lo stesso, ma oggi mi faccio molte domande») Denis si è sempre messo a disposizione del giovane Renzi: è stato lui garante indiscusso del patto del Nazareno, per poi diventare stampella del governo nel 2015 quando Berlusconi, con una giravolta, si tira indietro facendo mancare il suo appoggio all'uomo di Rignano sull' Arno.
ALBERTO BIANCHI E MARIA ELENA BOSCHI
Se l'affare Consip sembra mostrare come il legame sempre sussurrato tra Verdini e l'entourage di Renzi sia ancora più intenso di quanto si immaginava, restano fortissimi i sospetti di conflitti di interesse di un altro esponente fondamentale del Giglio Magico.
Ossia Alberto Bianchi, avvocato di fiducia dei renziani e presidente della fondazione Open, la cassaforte di Renzi nel cui consiglio ristretto siedono anche Maria Elena Boschi, Lotti e l'imprenditore e "fratello minore" di Matteo Marco Carrai, già travolto dalle polemiche un anno fa per la possibilità, ventilata da membri del governo, che potesse diventare - senza alcuna esperienza - il capo della cybersecurity di Palazzo Chigi.
alberto bianchi maria elena boschi
Bianchi, negli ultimi quattro anni, ha lavorato come consulente legale proprio per Consip, ricevendo incarichi per circa 290 mila euro. E se Marroni è un vecchio amico di Verdini e Tiziano Renzi, è certo che conosce bene anche l' avvocato a cui Matteo chiede spesso consiglio per scelte politiche e nomine strategiche, e che pure siede nel cda dell' Enel: qualcuno a Firenze ricorda bene quando entrambi sedevano - nel lontano 28 febbraio 2004 - al tavolo d' onore di un convegno della Margherita. Una riunione organizzata per lanciare la candidatura di una giovane promessa del partito alla presidenza della provincia: Matteo Renzi.
ALBERTO BIANCHI
«Sono uno dei legali esterni di Consip da quattro anni, ben prima che Marroni diventasse ad» precisa a Repubblica Bianchi «ho incassato 290 mila euro al netto dell' Iva, e ciò a fronte di 39 incarichi di difesa di Consip davanti ai Tar e al Consiglio di Stato. Conflitto di interesse vi sarebbe se fosse dimostrabile che ho ottenuto tali incarichi per essere presidente di Open, perché altrimenti ho semplicemente svolto il mio mestiere di amministrativista. I finanziamenti avuti da Alfredo Romeo? Circa 60 mila euro, solo quelli.
Del tutto legittimi».
alberto bianchi maria elena boschi
La fondazione, per la cronaca, è stata finanziata anche da imprenditori toscani poi diventati addirittura manager pubblici: come Gabriele Beni, imprenditore del settore calzaturiero e proprietario del marchio D' Aquasparta, scarpe talvolta usate dall' ex premier in occasioni pubbliche, ha girato ad Open 25 mila euro: Beni, dopo qualche mese, è stato nominato vicepresidente di Ismea, un ente agricolo controllato dal ministero dell' Agricoltura. Alla faccia del merito.