Riceviamo e pubblichiamo:
alberto bianchi
Caro Dago, vedo riportato su Dagospia un articolo nel quale è citato un mio whatsapp del 2017 a Fabio Pammolli in cui (in relazione a uno suo precedente) dico “va dato a Dago”.
A scanso di ogni equivoco, preciso che il mio whatsapp (uno delle centinaia non aventi alcun rilievo penale, ma diligentemente inseriti, sottolineati e costantemente interpretati in malam partem nelle 92.000 pagine delle relazioni di Polizia Giudiziaria afferenti all’indagine su Open) non conteneva e non poteva contenere alcuna concreta indicazione operativa, posto che né io né il mio interlocutore conoscevamo Roberto D’Agostino, nessuno di noi aveva la minima idea di come contattare lei o Dagospia, e tutto si poteva pensare (all’epoca come adesso), che Dagospia, espressione di libertà giornalistica, fosse al servizio mio o di Pammolli o di chiunque altro!!
ALBERTO BIANCHI
E infatti poi nessuno ha dato niente a nessuno. Non dovrebbe esserci necessità di spiegarlo. Non dovrebbe esserci nessun bisogno di spiegare che trattavasi di un’indicazione ironica, l’amaro auspicio che mai fosse che sul suo sito, tra i più letti e diffusi, fosse data evidenza a una notizia che a Pammolli e a me appariva significativa.
Ma non è la prima, e non sarà l’ultima volta che parole la cui interpretazione autentica appartiene ovviamente soltanto a chi li ha dette o scritte, vengono malignamente travisate. E almeno in questa occasione un chiarimento va dato, in attesa di fornirne di più ampi e più interessanti, su tutta la vicenda, nelle sedi e al momento opportuni.
Cordialmente
Alberto Bianchi