Alberto Mattioli per La Stampa
PAVAROTTI
Domani saranno dieci anni dalla morte di Luciano Pavarotti. Qualsiasi cosa si pensi dell'artista, resta la voce più bella che un Dio per una volta generoso ci abbia dato ascoltare.
Salivi su un treno di pendolari alle sette di un mattino uggioso di novembre, lui attaccava nell' ipod e dentro di te esplodeva una bella giornata primaverile di sole. La bellezza non si spiega. Semplicemente, c' è.
Però ancora una volta duole dire che si sta celebrando il Pavarotti «sbagliato». Per ragioni che nulla hanno di casuale, si perpetua un equivoco ingombrante ed extralarge come lui.
DOMINGO CARRERAS PAVAROTTI
Domani, all' Arena di Verona, sarà ricordato una volta di più il cantante semipop, quello dei Tre tenori, dei Friends, l' uomo in frac che cantava cose sbagliate con le persone sbagliate.
Per carità: fu una scelta sua, consapevole, legittima e perfino intelligente. Non fu vera gloria, ma un ottimo affare, sì. La svolta canzonettara assicurò a un tenore in inevitabile declino altri anni, se non di gloria artistica, almeno di celebrità planetaria. E sì, anche tanti soldi, e solo in Italia farne è un peccato e non un merito.
Scippata del ricordo del suo cittadino più illustre, Modena reagisce puntando, finalmente, sul Pavarotti tenore: stasera nel suo Duomo millenario con la «Messa da Requiem» di un altro contadino emiliano di un certo talento, tale Giuseppe Verdi, e poi con altre iniziative coordinate dal maestro Leone Magiera, leggenda dell' opera italiana, l' uomo che conosceva meglio Pavarotti e cui il tenorissimo doveva, forse, di più, finora naturalmente sempre ignorato nelle ricorrenze (fra parentesi: a queste iniziative parteciperà anche il soprascritto, così il miniconflitto d' interessi è dichiarato e possiamo serenamente parlare di cose serie).
LOU REED PAVAROTTI
Ma, insomma, l' evento mediatico è quello di domani, che infatti la Rai, manco a dirlo, trasmetterà in diretta. E allora la questione di «quale Pavarotti» smette di essere una lite di campanile e diventa un problema di politica culturale, anche se in Italia la politica culturale interessa a pochi anche perché nessuno la fa.
Pavarotti interpretò al meglio, come pochissimi altri, come Caruso, come Gigli, l' anima insieme aulica e popolare dell' opera italiana, quella meravigliosa utopia per cui un prodotto artistico così sofisticato e «alto» sfonda ogni barriera sociale e culturale e diventa patrimonio di tutti, si fa identità, appartenenza, passione comune.
ALBERTO MATTIOLI
Il melodramma come arte nazionalpopolare, come diceva Gramsci. E anche un' occasione straordinaria, per tutti, di godere del più bello spettacolo inventato dall' uomo, anzi dagli italiani, e per i più fortunati anche di ascesa sociale.
Il figlio dell' oste delle Roncole diventa Giuseppe Verdi; quello del fornaio di Modena Luciano Pavarotti. Il Pavarotti da celebrare è questo, l' eroe di questa grande invenzione italiana sublime e baraccona insieme, ma sempre autentica e sincera perché capace di raccontarci come nessuno ha mai fatto.Trasformarlo in una figurina indistinta del mainstream spettacolare, dove Verdi o Puccini sono alla pari di qualsiasi canzonettaro, ridotti a jingle, a «Vincerò!», a musica di sottofondo per gli acquisti al supermercato, è peggio che un errore. E' un tradimento.
PAVAROTTI luciano pavarotti nicoletta mantovani