Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”
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Hanno addosso gli occhi di tutti, ma la loro squadra non se la fila nessuno, anche se per farle giocare la partita d'esordio contro l'Ecuador, a 100 giorni dal via è stata anticipata di un giorno la data di inizio del Mondiale. Una cosa mai vista, come del resto questa Nazionale del Qatar, la prima debuttante di un Paese organizzatore dai tempi dell'Italia nel 1934: la squadra affidata al tecnico catalano, ex delle giovanili del Barcellona, Felix Sanchez Bas, non vincerà la Coppa ma in un girone che comprende anche Senegal e Olanda può sperare di passare il turno, dando così un senso diverso al Mondiale qatarino.
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E al lungo progetto tecnico che c'è dietro, anche questo senza precedenti. Nel 2019 il Qatar si è laureato campione d'Asia, battendo in finale il Giappone e ottenendo un risultato impensabile qualche anno prima: «Hanno fatto un lavoro incredibile, con un budget molto elevato per assicurarsi le migliori eccellenze in tutti i campi, tecnici e scientifici, ma anche con idee molto chiare - spiega Alberto Zaccheroni, che in quell'edizione era c.t. degli Emirati Arabi, sconfitti in semifinale dal Qatar - . La loro rivoluzione è stata quella di creare una Nazionale che è una squadra di club, nella quale i giocatori stanno assieme fin da ragazzi, creando un'intesa unica sul campo».
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Gli Al-Annabi - così è chiamata in patria la squadra - sono il frutto di un lavoro iniziato nel 2004 con la creazione di Aspire, l'accademia di scienza dello sport che fa capo a tutto il progetto, per la quale lavora dal 2010 anche Valter Di Salvo, già preparatore della Lazio e del Real Madrid, responsabile dell'area performance della federazione italiana, ma una delle anime del progetto di Doha: «Aspire è un'accademia della Nazionale, un vero college per i migliori giovani qatarioti, che studiano e si allenano, giocando nei club nel fine settimana. Così è cresciuta una generazione di giocatori, diventando una squadra competitiva. Quanto? L'obiettivo è passare il girone».
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Il simbolo di questo «Qatar football club» che si ispira fin dall'inizio al calcio spagnolo, è l'uomo gol, Almoez Ali. Arrivato a sette anni dal Sudan con i suoi genitori che erano in cerca di lavoro, è quindi un murimin , un residente ma senza la cittadinanza come la maggior parte della popolazione. Entrato 12enne in Aspire, ha fatto il suo percorso europeo di un paio di anni fra Austria, Spagna e Belgio, ma dal 2016 si divide tra l'Al Duhail e la Nazionale, trascinata alla vittoria della Coppa d'Asia e con la quale ha già segnato 41 gol in 85 partite.
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La scarsa presenza di qatarini doc in squadra è stata oggetto di polemiche, ma i naturalizzati sono 4, mentre i qatarini veri e propri sono 7: il resto come Almoez Ali sono di altre comunità arabe e quasi tutti sono arrivati da bambini come lui o sono nati a Doha. Che non è un posto periferico, dato che ogni anno vengono invitate le giovanili delle grandi squadre europee per disputare amichevoli, confrontarsi, carpire segreti. E crescere, seminando calcio e aspettando che arrivino i frutti.
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Un terreno che Francesco Farioli, allenatore 33enne dell'Alanyasport nella Super Lig turca, conosce bene, avendoci lavorato due anni: «L'esperienza in Qatar per me è stata uno stravolgimento totale, per il metodo di lavoro che hanno. Ho iniziato con l'Under 17, come allenatore dei portieri. La loro idea di base è rivoluzionaria, perché la base da cui attingere era piccolissima. Sarebbe come togliere da noi i cinque migliori talenti a Juve, Milan e Inter per farli allenare con la Nazionale. Impensabile. Ma da loro sta funzionando bene».
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