Estratto dell'articolo di Emilio Marrese per “la Repubblica”
benvenuti francesco nuti
Alessandro Benvenuti, due ore prima di andare in scena al Dehon di Bologna. Ha un quaderno aperto davanti allo specchio, scrive continuamente.
A 73 anni si emoziona ancora?
«Sì, ma più che l’emozionarsi è il trascendere. La battaglia col pubblico ti prosciuga, è più una trincea che una nuvola. Ma poi sul palcoscenico arriva lo stato di grazia ed entri in una dimensione spirituale: il teatro è un canto mistico, un rito laico sacro».
La battaglia col pubblico, dice: qual è il peggiore?
«Non esiste il pubblico peggiore, al massimo quello meno facile. Gli spettatori sono meravigliosi, sono santi che pagano il biglietto e salvano la vita a noi attori altrimenti disadattati o disoccupati. Il pubblico peggiore, se vogliamo, è quello che accende il telefonino in platea»
benvenuti cenci nuti
E si diverte ancora?
«Molto, a fare le mie sfide, le mie ricerche di nuove forme di comicità. Il comico ingoia il dolore, lo mastica e lo risputa. Mi diverto, anche se è una lotta. Ho smesso col cinema da regista perché non avevo più niente da dire. La qualità è sempre più rara, così come il bisogno di qualità. Pare si faccia di tutto per sfuggire alle grinfie dell’intelligenza e questo è disarmante per chi vorrebbe trovare un senso nella scrittura.
Le parole sono importanti, e invece girano senza padrone. Se sono sbagliate, possono uccidere. Eppure c’è tanta faciloneria nel dire cose solo per fare effetto, senza riflettere, emettendo rumoripiù che contenuti. Questo tempo così poco incline all’ascolto dell’altro, mi turba. E talvolta scelgo lo sciopero del silenzio, anche a dannodi chi mista intorno».
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Tutto cominciò mezzo secolo fa coi Giancattivi: è stufo di raccontarla?
«No. Athina Cenci era una funzionaria dell’Arci regionale e grazie a lei portammo per la prima volta la satira e il cabaret al popolo rosso delle feste de l’Unità, là dove prima c’era solo Brecht o il gioco del porcellino. La satira non esisteva in Italia, non è vero che è nata a sinistra. C’era solo Dario Fo. Noi tre da operatori culturali abbiamo fatto un lavoro politico e sperimentale».
Francesco Nuti è su una carrozzella dal 2006, Athina è tornata da poco a parlare dopo un ictus che le ha tolto la parola per 15 anni. Che effetto le fa?
«Profondo dispiacere. Athina qualche volta l’ho sentita, invece sono anni che non ho più contatti con Francesco. È una storia che si è compiuta con grande dolore».
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Avevate rotto in modo piuttosto traumatico dopo il film “Ad ovest di Paperino” del 1981.
«Con Francesco c’era già stato un riavvicinamento. Aveva prodotto il mio Benvenuti in casa Gori, sognavamo di fare Aspettando Godot insieme e resterà un sogno. Ma le cose non accadono per caso. Il modo di vivere modella il tuo dolore e il tuo pensiero».
Che intende dire?
«La vita non si insegna a nessuno. Ci sono strade che uno imbocca più o meno coscientemente e gli altri non possono farci nulla. Il fisico dipende da come lo tratti. Si dice destino, ma in qualche modo questo destino dipende da noi».
Cosa le resta?
«L’affetto per quel pezzo di strada fatto assieme. Valori e ricordi antichi, pesanti, buoni e negativi. Sono quel che sono grazie a loro. Athina e Francesco sono state le persone più importanti nella mia carriera. Athina è stata la mia prima musa, era l’uomo del trio. Francesco era senza briglie. Insieme eravamo impossibili.
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Eravamo tre talebani, tre radicali sorretti solo dal nostro talento, senza nessun aiuto: anzi, ci misero un mese a convincerci ad andare in tv. La lavorazione del film fu soffertissima per motivi privati di Francesco. Io ero molto pignolo e questa carriera l’ho presa sul serio fin dall’inizio . Parlano chiaramente i fatti e i percorsi».
La satira di oggi le piace?
«I politici sono così ridicoli che trovo tempo perso anche il riderne sopra. Sono bravissimi i comici che lo fanno, per carità. Io non ne sarei capace. Anche ai tempi dei Giancattivi non facevamo satira politica, era più una comicità surreale. Oggi mi interessa più la filosofia della satira, perché mi dà più spunti per rendere il linguaggio più moderno. Bisogna appozzare nell’antico per trovare la modernità: i moderni resistono secoli, gli attuali no».
Le stanno stretti i panni del comico?
«Li allargo. Mia moglie dice che sono costretto a fare solo capolavori sennò non mi piglia nessuno, ma poi bisogna anche che se ne accorgano gli altri. Se pensano che io sia solo il bimbone anziano del BarLume e non mi danno ruoli drammatici, è anche colpa mia. Sono un asociale, un individualista nichilista e anche un po’ autistico. Non creo occasioni, non vado a cercare nessuno. Ho fama di orso, ma mi faccio trovare. Sono molto disponibile coi giovani autori, a volte anche gratis».
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