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    "LA CULTURA 'WOKE' FINISCE PER STRINGERE CON NODI INVISIBILI L’AGIBILITÀ DI PENSIERO" - ALESSANDRO CHETTA, AUTORE DI "WOKE. I NUOVI BIGOTTI", FA PELO E CONTROPELO A QUELLA CHE DEFINISCE "NUOVA RELIGIONE LAICA" DEL POLITICAMENTE CORRETTO: "NON SI È PIÙ CERTI DI POTER SCRIVERE IN BUONA FEDE UN PENSIERO CRITICO O URTICANTE, SUL FEMMINISMO, SULLE IDENTITÀ DI GENERE E ALTRI ARGOMENTI - IL 'WOKISM' CREA NUOVI BIGOTTI IN DIFESA DI UNA FEDE LAICISTA CHE MISCHIA PULIZIA MORALE E GIUSTIZIA SOCIALE E INGESSA LA VITA PER PROTEGGERLA, MA FAVORISCE IL SUO CONTRARIO, CIOE' LA VEEMENTE REAZIONE DA PARTE DEI BIGOTTI TRADIZIONALI..."


     
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    Estratto dell’articolo di Massimo Novelli per “Il Fatto Quotidiano”

     

    La "visione tutto-fascio è miope, se ogni azione prepotente è fascista, ogni censura è fascista, se si dà del fascista al preside pure nelle chat di scuola dei genitori, poi nulla sarà fascista sul serio; e non è così”. Così “si registrano non pochi episodi ridicoli: da anni si ripropone la polemica sulle luci natalizie con la scritta ‘Xmas’ al posto di Christmas (...) da noi quelli svegli che la sanno lunga si sbracciano contro il criptofascismo: ‘Xmas’ inneggia alla Decima Mas!”. [...]

     

    È uno dei passi illuminanti di Woke. I nuovi bigotti. Il politicamente corretto come religione laica, il saggio che, dopo due libri su censura (Cancel Cinema) e autocensura (Non sia mai detto!), Alessandro Chetta dedica al fenomeno woke ,o del “politicamente corretto”. [...]

     

    Ma le sacrosante battaglie contro l’intolleranza e il razzismo, le discriminazioni sessuali e di genere, il vero fascismo e le dittature, sono diventate, dice Chetta, una “nuova religione”: quella woke, appunto. I suoi precetti, scrive, “formano tante scintille da cui avvampano i fuochi del politicamente corretto, che come ogni confessione prescrivono cosa fare e non fare, cosa dire e non dire, quali limiti abolire e quali stabilire, non tanto per stare genericamente nel giusto, troppo facile, quanto per fare canestro, per indovinare le parole e gli atteggiamenti esatti in ogni circostanza per non apparire aggressivi e discriminanti”.

     

    Il wokism, continua Chetta, si trasforma nel suo contrario, o almeno nell’opposto a quelle idee, democratiche e progressiste, da cui si era partiti per fare la guerra a razzismi e fascismi. Il “correttismo”, come lo chiama, “assillante su molti livelli - comunicativo, educativo, editoriale, politico -, finisce per stringere con nodi invisibili l’agibilità di pensiero; scrittori e scrittrici, giornalisti/e, intellettuali, cantanti, semplici cittadini/e che non siano più certi di poter affermare o scrivere in buona fede un pensiero critico, diagonale, urticante, sul femminismo, sulle identità di genere, sui migranti, sulle disabilità, sulla questione israelo-palestinese, si ridurranno a poco a poco all’autocensura, che poi è lo stato a cui costringono le religioni e le autocrazie nella loro dimensione conchiusa (pur di non apparire scorretto o immorale non dico e non faccio, quindi non penso)”.

     

    Il politically correct “è il frutto col verme della cultura woke, pietra angolare di quelle guerre culturali, culture wars, che arrossano la carne viva del dibattito pubblico soprattutto statunitense”. Il “correttismo” woke “è un fondamentalismo che dagli States si diffonde nel resto dei paesi occidentali creando nuovi bigotti in difesa di una fede laicista che mischia senza sfumature pulizia morale e giustizia sociale, e ingessa la vita allo scopo di proteggerla, ripararla, schermarla”.

     

    Questa posizione, osserva Chetta, non può che generare o favorire il suo contrario. Se in Usa “sta provocando l’altrettanto veemente reazione da parte dei bigotti tradizionali, vedi alla voce ultracristiani repubblicani e sette di invasati parareligiosi al seguito”, da noi spuntano i Vannacci e i loro sodali. Davvero un bel risultato.

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