Alessandro Zuin per il Corriere del Veneto
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Sarà che ha un cognome di appena tre lettere, così facile da memorizzare e con un suono quasi onomatopeico, fatto sta che, per essere un soldato semplice del Parlamento italiano, di questi tempi lo conoscono davvero in tantissimi: «Ddl Zan» – cioè il disegno di legge contro l’omotransfobia, che mira a rendere punibile ogni forma di discriminazione basata sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità – è diventata una di quelle formule che entrano nel linguaggio comune e, almeno fino a quando l’argomento continuerà a scaldare gli animi, sono destinate a rimanerci per un pezzo.
ALESSANDRO ZAN
Il rapper Fedez, attaccando frontalmente dal palco del concertone del Primo Maggio la Lega - che osteggia l’approvazione del disegno di legge, come gran parte del centrodestra - e la Rai, accusata di fare censura preventiva sull’argomento, gli hanno dato un’eco potentissima, innescando una colata lavica di reazioni e polemiche. Persino la presidenza della Cei - la Conferenza episcopale italiana - ha sentito il bisogno, pochi giorni fa, di prendere posizione sul «Ddl Zan», esprimendosi con un salomonico «modificare, non affossare».
Ma chi è e da dove viene Alessandro Zan, l’esponente padovano del Pd che, in quanto relatore del provvedimento alla Camera (dove è già stato approvato, mentre ora si è impantanato al Senato), ha finito per identificare con il proprio nome la proposta di legge?
ALESSANDRO ZAN MARIA ELENA BOSCHI
Nella città del Santo, dove in passato ha fatto parte dell’amministrazione comunale nella giunta del sindaco Flavio Zanonato, lo ricordano soprattutto per avere promosso e ottenuto - era la fine del 2006 - l’istituzione del primo registro anagrafico italiano delle coppie di fatto, aperto anche alle coppie omosessuali.
Ancora prima, nel 2002, era stato in prima fila nell’organizzazione del Gay Pride nazionale a Padova. Classe ‘73, una laurea in ingegneria delle telecomunicazioni, dal 2013 siede in Parlamento, prima per Sel e poi per il Pd. I colleghi alla Camera lo descrivono come un gran lavoratore, attento ed empatico verso il prossimo. Da qualche anno, porta fieramente la barba.
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Deputato Zan, avrebbe mai immaginato di dare il suo nome a una proposta di legge capace di dividere trasversalmente l’Italia?
«Questo ddl porta il mio cognome perché sono stato nominato relatore alla Camera, ma è una legge di tutti quei colleghi parlamentari che, da un anno e mezzo, si battono e si impegnano per portarla a casa. Questa legge non sta dividendo l’Italia, piuttosto sta portando allo scoperto coloro che vogliono un Paese proiettato verso l’Europa sovranista di Orban e Duda, anziché l’Europa della democrazia e dei diritti».
Partiamo dalla sua esperienza personale: le è mai capitato di essere bullizzato da ragazzo o discriminato per il suo orientamento sessuale?
«Sono stato fortunato: nessuna violenza fisica pesante, come oggi ancora troppo spesso accade. Ma ho spesso ricevuto battute, scherzi omofobi, qualche danno alla bicicletta. Devo anche ammettere che la mia mente li aveva rimossi, poi, in questi ultimi mesi, ascoltando tante storie di discriminazione, ho ripercorso anch’io quegli anni e ho focalizzato quanto mi era accaduto».
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Nella Padova della sua adolescenza (anni Ottanta) immaginiamo che certi epiteti rivolti agli omosessuali non fossero così infrequenti: le è capitato di riceverne?
«Sì, certo. Lo scherno verbale contro la comunità Lgbt+ era ed è ancora frequentissimo. Anche se, con le nuove generazioni, questo atteggiamento sta cambiando radicalmente».
C’è stato un momento o un episodio precisi in cui ha capito che avrebbe dovuto combattere per i suoi diritti e la sua identità?
«L’Erasmus in Inghilterra. Quei mesi mi hanno fatto capire che la società italiana era - ed è - ancora fortemente machista e patriarcale, mentre l’esperienza vissuta in Gran Bretagna mi ha fatto capire che un’alternativa è possibile. Una volta tornato, ho iniziato la mia militanza».
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La sua scuola politica qual è stata?
«Ho cominciato nell’Arcigay di Padova, dove ho capito quanto sia importante l’associazionismo, esperienza culminata con il Pride nazionale del 2002: Padova fu invasa da decine di migliaia di persone, fu veramente incredibile. Mentre i DS furono il primo partito a cui mi iscrissi, un’esperienza politica a cui devo moltissimo e un’ottima scuola».
L’esperienza del Pride Village padovano quanto è stata importante?
«Ho un grande orgoglio per il Padova Pride Village: dal 2008 a oggi è stata fatta tantissima strada, ormai è un tutt’uno con la città. I padovani aspettano con gioia questo evento ogni estate. Siamo riusciti a coniugare positivamente momenti di approfondimento culturale e politico con il divertimento. Inoltre, ora è il festival lgbt+ più importante d’Italia, un vero baluardo dei diritti».
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Come si è rivelato ai suoi genitori e all’ambiente familiare in genere?
«Prima di fare coming out, ero agitato e impaurito, perché ovviamente il giudizio dei genitori è importante per ogni figlio. Appena mi sono dichiarato, mia madre è stata molto tenera e comprensiva, mentre mio padre non la prese bene. Poi però fece un suo percorso personale, perché anche i genitori devono fare un percorso di accettazione dei propri figli, e alla fine diventò un mio grande sostenitore. È mancato quattro anni fa».
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È uno sportivo praticante? Esiste una squadra del cuore?
«Sì, amo fare attività fisica, penso sia fondamentale, cerco sempre di ritagliarmi del tempo per lo sport. Tuttavia non seguo nessuno sport in particolare, né tifo per una squadra di calcio».
Ha letto che il leghista Andrea Ostellari, che in Senato sta frenando con grande applicazione il cammino del «ddl Zan», potrebbe essere il candidato sindaco del centrodestra nella sua Padova?
«Chiunque sia il candidato del centrodestra, sono convinto che Sergio Giordani, che sta facendo un ottimo lavoro, sarà riconfermato sindaco di Padova, una città che sta cambiando ed evolvendo, e che deve guardare all’Europa, non certo a ottuse ricette sovraniste».
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Quanti omosessuali «nascosti» ci sono nelle forze politiche che osteggiano la sua legge?
«Non ne ho idea. Quello che so è che noi stiamo facendo questa battaglia di civiltà anche per loro, affinché non ci sia più nessuno costretto a nascondersi. Questa legge è per tutta la società, non per una minoranza».
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