Massimiliano Viti per www.corriereadriatico.it
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La partecipazione a Mosca di 31 aziende marchigiane di moda (su 48 italiane) che sfidano l’Europa e le sanzioni per vendere le scarpe e cercare di far sopravvivere le proprie aziende sta dividendo l’opinione pubblica. Sui social c’è chi sostiene gli imprenditori e la loro scelta di esporre i propri prodotti al salone Obuv che inizia domani fino a venerdì.
D’altronde le imprese non hanno responsabilità sulla situazione e sono state penalizzate dalle sanzioni che si sono abbattute sul loro business. Senza per altro ricevere nessun rimborso.
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I fondi
«Manterremo il contributo deciso a settembre scorso per le aziende marchigiane che partecipano al salone Obuv» afferma Mirco Carloni, vicepresidente della Regione e assessore al commercio. Contributo di 4mila euro da parte della Regione, altrettanto dalla Camera di commercio a fronte di una spesa complessiva di 16mila euro per la partecipazione a Mosca.
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«Prima dell’inizio della guerra, Regione e Camera di Commercio delle Marche, attraverso una delibera, avevano deciso di sostenere, come ogni anno, la partecipazione delle imprese marchigiane alle fiere internazionali tra cui quelle di Kiev per il settore moda e di Mosca per il calzaturiero. Essendo stata confermata la fiera di Mosca, le nostre 28 imprese che avevano già deciso di partecipare potranno ancora godere del nostro contributo nel rispetto delle regole nazionali ed internazionali» sottolinea Carloni.
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La condanna
«Il settore calzaturiero è il fiore all’occhiello dell’economia regionale e continueremo a sostenere i nostri imprenditori nel rispetto di tutte le normative vigenti - aggiunge il vicepresidente regionale - La Regione condanna la guerra in tutte le sue forme e continuerà ad aiutare i profughi ucraini come fatto finora ma, vista la situazione così delicata, non si volterà dall’altra parte lasciando sole le imprese marchigiane colpite dalla crisi».
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«Non abbiamo alternative al mercato russo che ci è stato chiuso dalla sera alla mattina. Ne abbiamo bisogno» afferma Marino Fabiani, imprenditore calzaturiero di Fermo, la provincia più colpita d’Italia dalle sanzioni e all’interno di un distretto completamente abbandonato dalle istituzioni.
«Con le sanzioni verso la Russia si stanno fermando i nostri soldi» afferma Arturo Venanzi, presidente reggente di Confindustria Fermo. Se qualche pagamento dalla Russia sta arrivando (attraverso triangolazioni e banche non russe), la maggior parte dei clienti non riesce a far arrivare i soldi ai fornitori marchigiani.
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«Così non si danneggia il russo ma l’imprenditore italiano» chiosa Venanzi. Tra l’altro l’uscita di scena dei marchi del lusso ha potenzialmente aperto maggiori opportunità alle aziende del made in Italy. «Non possiamo lasciare un mercato su cui abbiamo investito e che mantiene in vita le nostre aziende. E questo ci dà la forza per partire» osserva Fabiani. È la forza della disperazione e gli imprenditori si giocano il tutto per tutto. Perché rischiano di spendere tanti soldi senza avere la benchè minima sicurezza di un ritorno. «Se non arriveranno gli acconti, se non saremo sicuri di incassare, non metteremo in produzione le scarpe che ci verranno ordinate» conferma lo stesso Fabiani. Le sanzioni non impediscono ai calzaturieri marchigiani di andare a Mosca così come alle imprese italiane di fare affari con la Russia.
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Restando solo nel campo della moda, a due mesi dall’invasione dell’Ucraina, i marchi che esportano poco o niente in Russia hanno deciso di chiudere i negozi e interrompere le operazioni con Mosca. Chi invece genera nell’ex Urss una parte importante del proprio fatturato mantiene i negozi aperti e continua, in qualche modo, a vendere i propri prodotti.
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Anche i calzaturieri marchigiani stanno cercando di smaltire le scarpe rimaste nei magazzini. Inoltre, alcuni canali per far viaggiare i bonifici da Mosca all’Italia sono stati evidentemente trovati (ma costano cari). C’è chi invece (ma è in minoranza per la verità) sui social esprime il proprio dissenso sull’opportunità di far svolgere regolarmente la manifestazione. E sottolinea come i calzaturieri marchigiani insistano ancora sul mercato russo senza cercare altri sbocchi.