Estratto dell’articolo di Emilio Marrese per “la Repubblica”
sarri de laurentiis agnelli
Il carnevale della napoletanità lungamente pregustato e preparato rischia di coprire una nuova verità assordante ed eversiva. Un fatto storico sensazionale senza precedenti che Napoli dovrebbe essere orgogliosa di rivendicare ad alta voce, ben sopra il frastuono della retorica tra petardi, caccavelle e putipù: per la prima volta in quarant’anni di calcio moderno, infatti, vince lo scudetto una società attenta ai conti senza firmare cambiali da bancarotta ma addirittura guadagnandoci almeno una cinquantina di milioni.
napoli festa ai quartieri spagnoli
E senza avere le spalle coperte da un colosso industriale, una multinazionale, un fondo internazionale, un magnate o un mecenate. Altro che folclore: questo è il primo scudetto in attivo, il primo scudetto “sostenibile” — frutto maturo di programmazione, organizzazione, serietà, lucidità e perseveranza, anche sul campo — in un sistema calcio ormai insostenibile, perennemente sull’orlo del crac.
Ed è successo proprio a Napoli, nell’immaginario collettivo capitale dell’improvvisazione e dell’arte di arrangiarsi, alla faccia di tutti gli stereotipi e i pregiudizi sull’incapacità endemica di fare impresa da quelle parti. Dove cantano le cicale, si è imposta la strategia della formica.
napoli festa ai quartieri spagnoli
[...] ’O miracolo stavolta è quello del bilancio. Non ha nulla di mistico, scriteriato, geniale, eccezionale come negli anni Ottanta quando il Napoli dovette arruolare il giocatore al tempo più forte del mondo, e poi sul podio assoluto dei più grandinella storia del pallone, per dare l’assalto al cielo. […]
Quello di Aurelio De Laurentiis è un programma partito dalla Serie C nel 2004 e durato vent’anni, là dove venti minuti sembrano già un’ipoteca azzardata sul futuro. Avesse speso di più, avrebbero festeggiato prima: questo il capo d’accusa. […]
napoli festa ai quartieri spagnoli
È uno scudetto che sfugge felicemente alla dittatura di quel luogocomunismo che incatena i napoletani ai soliti cliché, da loro stessi — venditori ambulanti ma anche intellettuali opinion maker — alimentati per rifilare al turista (o al lettore) l’immagine che si aspetta. […]