1 - L'AFFONDO ONU SULLO XINJIANG «CRIMINI CONTRO L'UMANITÀ»
Stefano Vecchia per “Avvenire”
campi di concentramento per uiguri, nella regione dello xinjiang
«La portata della detenzione arbitraria e discriminatoria degli uighuri e di altri gruppi a maggioranza musulmana... può costituire crimini internazionali, in particolare crimini contro l'umanità», perché «le accuse di sistemi di tortura o maltrattamenti, compresi trattamenti medici forzati e condizioni critiche di detenzione, sono credibili».
Queste e altre parti del rapporto sulla situazione dei diritti umani nello Xinjiang diffuso a Ginevra dall'Alto Commissariato Onu per i Diritti umani, indicano come si tratti forse del più severo ma anche articolato e documentato atto di accusa finora contro il governo cinese per le sue azioni nella Regione autonoma dello Xinjiang. Arrivato a una manciata di minuti dalla scadenza del mandato della commissaria Michelle Bachelet, accusata ancora a maggio, dopo il suo viaggio nello Xinjiang a lungo impedito dalle autorità cinesi, di essere troppo accondiscendente verso Pechino.
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Accusa da cui si era difesa affermando che cercare il dialogo «non significa chiudere gli occhi». I lavori del rapporto erano iniziati dopo l'arrivo da fine 2017 all'Ufficio per i Diritti umani delle Nazioni Unite delle prime denunce per il trattamento degli uighuri e di altri gruppi minoritari di fede musulmana nello Xinjiang.
La posizione strategica della provincia, la presenza di formazioni indipendentiste e il rischio di infiltrazioni jihadiste sono state proposte da Pechino come ragioni per il contrasto a «terrorismo» e «estremismo » attraverso la repressione dei diritti e dell'identità religiosa di una popolazione un tempo maggioritaria e ora soverchiata dall'immigrazione di cinesi Han e di altre etnie.
prigionieri uiguri bendati nello xinjiang, in cina 1
Durante la sua elaborazione il rapporto ha posto un'attenzione particolare alla credibilità delle fonti e dei documenti disponibili, ma anche alla valutazione del contesto legale in cui si colloca la realtà degli uighuri, in costante contatto con le autorità cinesi. Anche se nel testo viene sottolineata l'urgenza di una evoluzione sotto controllo internazionale non si smentisce la necessità di sostenere la Cina verso una evoluzione positiva. Immediato e elevato è stato l'interesse verso il rapporto, ma immediata e dura è stata anche la reazione cinese.
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Pechino ha respinto «con forza» le valutazioni contenute nel documento accusando l'Alto Commissariato per i Diritti umani di «diffamare e calunniare la Cina, interferendo negli affari interni cinesi ». Per Liu Yuyin, portavoce della missione cinese presso le Nazioni Unite a Ginevra, il rapporto è basato «sulla presunzione di colpa, sulla disinformazione e sulle bugie fabbricate dalle forze anti-cinesi come fonti principali». Di un documento che propone «nuove prove» delle «orribili violazioni dei diritti umani» commesse contro «gli uighuri musulmani e altre minoranze nello Xinjiang» ha parlato ieri Liz Truss, ministra degli Esteri britannica.
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La candidata favorita a sostituire lunedì Boris Johnson, ha definito «credibili» le prove e rivendicato il merito di Londra per avere imposto per prima «sanzioni contro alti funzionari del governo cinese ». Sulla stessa linea il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. «La Cina deve rendere conto del genocidio degli uighuri», ha tuonato. A loro e a molti altri critici ha risposto l'ambasciatore cinese all'Onu, Zhang Jun , parlando di «bugia totalmente inventata e politicamente motivata» per fermare il progresso della Cina e, riferendosi al «cosiddetto problema dello Xinjiang», si è detto «fermamente contrario al rapporto».
2 - ANCHE L’ONU ALLA FINE SI ACCORGE DEL GENOCIDIO DEGLI UIGURI
Guido Alberto Casanova per “Domani”
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È stata una corsa dell'ultimo minuto, conclusasi appena prima di mezzanotte dell'ultimo giorno in carica di Michelle Bachelet. Alla fine, il tanto atteso rapporto dell'Onu sulla situazione dei diritti umani nello Xinjiang è stato pubblicato. L'Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani è stata stretta per anni tra due fuochi.
Da una parte c'erano i gruppi per i diritti umani e la comunità accademica che la accusavano di chiudere gli occhi davanti agli abusi subiti dalle minoranze musulmane nella regione occidentale della Cina. Dall'altra la pressione di Pechino che nega che nello Xinjiang avvengano violazioni dei diritti umani, sostenendo inoltre che la lotta contro il terrorismo è un affare interno in cui la comunità internazionale non dovrebbe essere coinvolta.
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Ritardi e rinvii
Lo scorso giugno l'Alto commissario aveva annunciato di voler pubblicare il rapporto entro la fine del proprio mandato, in scadenza il 31 agosto. Il documento è rimasto a lungo in revisione: ancora nel settembre del 2021 Bachelet aveva detto che il testo era in via di rifinitura. In questi continui ritardi molti ci hanno letto una pressione di Pechino e in effetti lo scorso luglio è girata la notizia che la delegazione cinese a Ginevra avrebbe fatto circolare una lettera tra le rappresentanze diplomatiche per cercare sostegno contro la pubblicazione del rapporto.
hong kong, proteste in difesa degli uiguri 4
Secondo fonti giornalistiche, la Cina chiedeva a Bachelet di non procedere con la pubblicazione del rapporto perché «intensificherà la politicizzazione e lo scontro tra blocchi nel campo dei diritti umani, minerà la credibilità dell'ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani (Ohchr) e danneggerà la cooperazione tra l'Ohchr e gli stati membri». Le accuse che da più parti sono state lanciate contro la Cina sono quelle di internamento massiccio della popolazione uigura dello Xinjiang e di altre minoranze musulmane della regione.
Alcune stime calcolano che la campagna «anti terrorista» e di «deradicalizzazione» di Pechino abbia messo circa un milione di persone in centri di detenzione e rieducazione, dove sarebbero praticati torture, lavori forzati e violenze sessuali. Bachelet si era recata nello Xinjiang lo scorso maggio, in quello che da molti era stato giudicato come uno show propagandistico messo in piedi dalla Repubblica popolare.
UIGURI IN RIVOLTA
La stessa commissaria dell'Onu aveva detto di non aver ottenuto accesso senza restrizioni alla regione. Il contenuto del rapporto Nonostante la pressione esercitata dalla Cina nel circuito delle Nazioni unite, alla fine però la pubblicazione è avvenuta. Il documento di 48 pagine contiene numerose conferme di quanto denunciato da ricercatori, attivisti e testimoni. Pur affermando che in Xinjiang sono stati compiute «serie violazioni dei diritti umani», il rapporto è tuttavia molto cauto su diversi punti in mancanza di dati affidabili.
Ad esempio, per quanto riguarda le accuse di tortura, violenza sessuale e trattamenti medici forzati, si afferma che esse sono credibili dato l'ambiente detentivo non supervisionato e altamente discriminatorio ma che «le informazioni disponibili in questo frangente non consentono all'Ohchr di raggiungere conclusioni definitive sull'esatta entità di questi abusi».
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Anche riguardo le accuse di sterilizzazioni forzate e di controllo della natalità imposto sulle donne dello Xinjiang al di fuori dei centri di detenzione, il rapporto ritiene che vi sia un fondamento pur ammettendo anche qui la difficoltà di valutare l'esatta diffusione di queste politiche. Sul tema del lavoro forzato il rapporto usa un linguaggio leggermente più deciso, chiedendo al governo cinese maggiori chiarimenti sulla propria aderenza agli obblighi internazionali.
Nonostante la necessità di maggiori informazioni riguardo l'assunzione, il collocamento e le condizioni di lavoro dei detenuti, lo stretto legame tra programmi d'impiego e le strutture rieducative pone un serio interrogativo riguardo la volontaria adesione dei detenuti a questi programmi. «Il sistema Vetc (Vocational Education and Training Centres, i centri di rieducazione ndr) costituisce una privazione di libertà arbitraria su larga scala attraverso l'inserimento forzato in strutture residenziali e "formazione" obbligatoria. Gli individui nel sistema sono quindi sotto costante "minaccia di punizione"», dice il documento.
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«Per esempio, alcuni detenuti nelle strutture Vetc hanno detto all'Ohchr di aver dovuto lavorare all'interno delle strutture Vetc come parte del proprio "processo di promozione", senza possibilità di rifiutarsi per paura di essere tenuti più a lungo nelle strutture». Detenzioni arbitrarie La parte più corposa però è riservata all'internamento massiccio della popolazione e alle privazioni di libertà. In circa 15 pagine, il rapporto argomenta che «uno schema su larga scala di detenzione arbitraria ha avuto luogo nelle strutture Vetc, almeno tra 2017 e 2019, toccando una porzione significativa della comunità uigura e delle altre minoranze etniche prevalentemente musulmane dello Xinjiang».
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Sebbene il governo abbia dichiarato chiuse queste strutture, l'Ohchr ammette di non poter confermare questa informazione ma sottolinea che «rimangono considerevoli preoccupazioni, in particolare per via del fatto che il quadro di leggi e politiche che sostenevano l'operazione del sistema Vetc rimane in vigore».
Tirando le conclusioni il documento sottolinea che le detenzioni discriminatorie e arbitrarie avvenute in Xinjiang, nel contesto di più ampie negazioni dei diritti umani fondamentali, potrebbero costituire crimini contro l'umanità. Perciò, tra le raccomandazioni, viene suggerito ai paesi membri dell'Onu di non rimpatriare verso la Cina i cittadini di etnie musulmane dello Xinjiang.
Mentre ora iniziano a volare le accuse tra Pechino e l'occidente, il rapporto segna senza dubbio un punto di svolta (o di non ritorno) per l'Onu, per la comunità internazionale, per la Cina e per lo Xinjiang.
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