Flavia Amabile per “la Stampa”
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È la sera del 10 agosto quando il padre di Camilla entra nella Questura di Cagliari. È la sera delle stelle cadenti, di una luna quasi piena che è un incanto e che lui nemmeno vede. In tasca ha il cellulare della figlia di 12 anni e nel cuore il coraggio con cui glielo ha affidato.
Quella sera è di turno Michele Mecca, commissario capo. A lui il padre di Camilla - un nome di fantasia - consegna il cellulare della figlia, la schermata aperta sui messaggi diretti di Instagram.
Due giorni prima la ragazza ha ricevuto dei messaggi da uno sconosciuto. Poche righe con apprezzamenti su di lei e la prima domanda: « Quanti anni hai?», « Dodici», ha risposto Camilla.
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Invece di salutare e andare via, l'uomo ha proseguito la conversazione. Ha spiegato di avere 42 anni, il suo errore, in genere chi prova a adescare una minorenne in chat mente innanzitutto sulla sua età, cerca di far credere di essere anche lui minorenne. «È un problema?», ha domandato, infatti, quasi pentito. Camilla ha risposto di no e lui ha insistito. Ha chiesto una foto e, infine, di incontrarla.
Camilla ha risposto un altro no ed è corsa dai genitori.
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Il commissario capo ha letto attentamente i messaggi poi ha mandato a chiamare Elena, 36 anni, agente scelto. Le ha mostrato la conversazione, ha fatto alcune telefonate in Procura per ottenere il via libera e l'operazione è partita.
Il cellulare è passato nelle mani di Elena, l'agente scelto si è sostituita alla ragazza di 12 anni. Senza perdere un secondo per evitare che l'uomo, scoraggiato dai rifiuti ricevuti, abbandonasse la chat e passasse alla preda successiva facendo perdere le tracce di sé.
«Ha ripreso a scrivere dopo qualche ora», racconta Elena Il tono dell'agente scelto è stato diverso da quello di Camilla. Alle domande generiche su che cosa stesse facendo ha risposto in modo vago di essere al mare: «Quando l'uomo mi ha chiesto una foto in costume gli ho spiegato di non potergliene mandare perché mi vergognavo. Quando, infine, lui mi ha chiesto di nuovo un incontro non ho rifiutato, gli ho lasciato capire che sarebbe stato possibile».
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La conversazione è proseguita nei giorni seguenti. Elena non ha mai preso l'iniziativa, ha aspettato che lui scrivesse. «Rispondevo con le emoticon, con qualche errore di grammatica e con poche parole per evitare passi falsi e apparire credibile nel ruolo di una ragazza di 12 anni». E l'uomo ci ha creduto, è diventato presto molto esplicito. Era convinto di poter mettere le mani sulla sua preda, ha iniziato a riempire la chat di proposte volgari, è arrivato a offrire 50 euro per una prestazione orale.
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Venerdì scorso, dopo otto giorni di conversazione, è arrivato il momento di mettersi d'accordo su dove e quando incontrarsi. Lui ha proposto un luogo appartato lungo il litorale. Elena ha rifiutato: «Gli ho risposto che per il primo incontro preferivo il parco di Monte Urpinu». È un luogo molto amato dai cagliaritani, 32 ettari di verde appena fuori dal centro, con una vista sul Golfo degli Angeli, sui tetti della città e pure sui fenicotteri rosa dello stagno di Molentargius. E a cinque minuti dalla Questura, ma questo Elena non lo ha precisato.
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«Sono qui», le ha scritto l'uomo il sabato mattina. «Ti raggiungo, ho un vestito fucsia», ha risposto Elena mentre Giulia, una sua collega più giovane, indossava il completo fucsia che in genere usa per giocare a tennis, e si avviava verso la panchina dell'appuntamento. Nascosti nei cespugli c'erano gli agenti della Questura, compreso il commissario Mecca. «Ciao», ha detto l'uomo a Giulia quando l'ha vista. Si è seduto accanto a lei e ha provato subito ad abbracciarla.
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«Gli ho dato una spinta per allontanarlo - racconta Giulia -. Subito dopo sono arrivati i miei colleghi, l'hanno ammanettato e lo hanno portato in Questura». L'uomo ha inutilmente tentato di difendersi gridando: «Non ho fatto nulla». Da sabato si trova nel carcere di Uta, in attesa dell'udienza di convalida dell'arresto prevista per domani. Dovrà rispondere del reato di prostituzione minorile e rischia dai sei ai dodici anni di carcere.
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«Se è stato possibile arrestarlo dobbiamo dire grazie innanzitutto al coraggio della ragazza di 12 anni», spiega Fabrizio Mustaro, capo della Squadra Mobile di Cagliari. «Agli adolescenti voglio rivolgere l'invito a non vergognarsi, a denunciare. E ai loro genitori chiedo di ascoltare i loro figli».