Mattia Feltri per “La Stampa”
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Salah Abdeslam ha 32 anni e ne aveva 26 il 13 novembre 2015 quando scese da una Seat nera e sparò sulle terrazze del Café Bonne Bière e della pizzeria Casa Nostra a Parigi. Non so quante persone abbia ammazzato, ma quella sera allo Stadio di Francia, in altri locali del centro e al Bataclan lui e i suoi compari ne ammazzarono centotrenta, scegliendoli a caso.
Salah è l'unico sopravvissuto del commando, e ieri è comparso in tribunale per essere processato con alcuni complici che lo aiutarono a pianificare l'impresa. Anzitutto, ha detto rivolto alla corte, ci tengo a testimoniare che Allah è l'unico Dio e Maometto è il suo messaggero. Questo lo vedremo dopo, gli ha risposto il giudice.
Salah Abdeslam in tribunale
Chissà, forse guarderò per la terza volta "13 novembre: attacco a Parigi", un formidabile documentario Netflix in tre puntate nel quale la serata viene ricostruita minuziosamente. Vengono intervistati il presidente di allora, François Hollande, il sindaco Anne Hidalgo, il ministro dell'Interno, il capo della polizia e decine di sopravvissuti.
Uno racconta di come la moglie gli è svanita fra le braccia, una di come il fidanzato gli è crollato accanto, uno di essere rincasato all'alba incolume e la sua compagna gli ha detto sono incinta. Li si vede sorridere, piangere, guardare in camera e non avere più niente da dire. Non c'è odio e non c'è retorica, c'è un'enorme straziante incredulità, che sia successo davvero, e sia successo per un motivo che non accetta repliche: Allah è l'unico Dio. Ecco perché, qualsiasi condanna emetterà il giudice, non potrà valere quanto la sua sentenza di ieri: questo lo vedremo dopo.
2 - BATACLAN , SALAH PROVOCA IN AULA "SONO UN SOLDATO DI ALLAH"
Leonardo Martinelli per “La Stampa”
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Parlerà? Non parlerà? Nei giorni che hanno preceduto l'avvio del processo degli attentati del 13 novembre 2015, i media francesi si sono arrovellati sul dilemma: Salah Abdeslam, che oggi ha 31 anni, l'unico sopravvissuto del commando, che quella sera scatenò il terrore per le strade di Parigi, metterà fine al mutismo, che l'ha accompagnato nei suoi anni di carcere? Racconterà la verità? Ieri il processo ha avuto inizio.
E Abdeslam si è dimostrato assolutamente loquace. Qualcuno potrebbe aggiungere: anche troppo. Perché il terrorista si è rivelato provocatorio e vendicativo, per niente disposto a rimettersi in questione. È arrivato poco prima delle dieci di mattina nell'aula bunker costruita appositamente all'interno del vecchio Palazzo di giustizia, nell'isola della Cité, a due passi da Notre-Dame.
Fisicamente in forma (vive in una cella isolata, dove ha uno spazio fitness a sua unica disposizione), maglietta attillata e mascherina in tono, i capelli neri lunghi con il gel, a parte la barba folta sembra ancora il giovane bullo, seduttore e piccolo delinquente, che si aggirava a Molenbeek, il quartiere di Bruxelles dove ha vissuto, fino alla sua cattura nel marzo 2016.
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«Si metta in piedi!», gli ha intimato il magistrato che presiedeva l'udienza, Jean-Louis Péries. Lui l'ha fatto, per poi dire: «Ci tengo a testimoniare che non c'è dio al di fuori di Allah e che Maometto è il suo servitore». Professione? «Ho lasciato ogni tipo di mestiere, per diventare un combattente dello Stato islamico».
Gli altri imputati, invece, hanno declinato le proprie generalità, senza fare troppo scene, perfino un altro «agguerrito» della prima ora, Mohamed Abrini, amico d'infanzia di Abdeslam. Nel pomeriggio, un altro degli uomini alla sbarra, Farid Kharkhach, ha avuto un malore. Allora Abdeslam si è messo in piedi, gridando: «Voi non fate attenzione alla gente. Pericolosi o meno, siamo esseri umani. Abbiamo dei diritti».
E poi: «Sono più di sei anni che sono trattato come un cane. Ma non mi lamento, perché tanto, dopo la morte, resusciterò». «Si sieda!», gli ha detto il giudice, imperturbabile. «Qui non siamo in un tribunale ecclesiastico». I familiari delle vittime presenti erano sconcertati. Jean Reinhart, avvocato di un centinaio di parti civili (suo nipote morì al Bataclan), ha cercato di rassicurarli: «Sta rispondendo alle domande e questo è positivo. Forse spiegherà cosa ha fatto, rivelerà dettagli importanti».
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Il processo durerà nove mesi. Forse Abdeslam racconterà perché non è saltato in aria come gli altri quella sera. Ha avuto paura e si è tirato indietro all'ultimo momento? O la sua cintura esplosiva (come è stato confermato dagli specialisti francesi che l'hanno analizzata) non funzionava? Sulla sua psicologia ha indagato anche una giornalista, Etty Mansour (è uno pseudonimo).
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Ha incontrato tantissime persone che l'hanno conosciuto e scritto su di lui un libro, «Convoyeur de la mort», trasportatore della morte. Perché lui, Abdeslam, era specializzato nello sfrecciare in tutta Europa con grosse macchine noleggiate grazie ai soldi dello Stato islamico, per andare a cercare i terroristi del commando, che arrivavano dalla Siria, o gli esplosivi necessari per quella sera. «I quattrini inebriavano Abdeslam - racconta la Mansour - e sono stati uno dei motori della sua azione. Ma poi lui ha anche aderito all'ideologia islamista». Che si è infiltrata in quella testa, nel personaggio di un patetico bullo di periferia.
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