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    ALLE ORIGINI DEL POP C’È ANTONIONI - PARIGI LO CELEBRA: ''MODA, ARTE E CINEMA DI OGGI SONO ISPIRATI DAI SUOI FILM”- “NON ERA POLITICIZZATO. PER QUESTO IN ITALIA HA AVUTO MENO SUCCESSO CHE ALTROVE”


     
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    Leonardo Martinelli per “la Stampa”

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    All’inizio della mostra su Michelangelo Antonioni, alla Cinémathèque Française di Parigi, un grande dipinto di Julian Schnabel attira l’attenzione. In mezzo come una diffusa traccia rossa: il colore debordante (al pari dell’angoscia di Giuliana, interpretata da Monica Vitti) nel film Deserto rosso. Sopra quella macchia rosso fuoco Schnabel ha scritto: «Antonioni was here», Antonioni è stato qui. 
     

    Perché la presenza del maestro, morto nel 2007, lo stesso giorno di Ingmar Bergman, è ancora fortissima. «Dei registi della sua generazione fu quello più contemporaneo, ancora oggi citato da tanti artisti», ricorda Dominique Païni, che ha curato l’esposizione. Si occupò anche di quella realizzata nel 2012 a Ferrara, che in parte costituisce pure la mostra a Parigi (aperta da oggi fino al 19 luglio). Ma questa in realtà è stata arricchita da tanto materiale supplementare (di tutto: lettere, locandine, foto) e soprattutto da opere d’arte, che hanno ispirato Antonioni o che al contrario sono state ispirate da lui. 

     

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    Ecco un quadro di Filippo de Pisis, Pesci nel paesaggio di Pomposa, che fa da pendant a Gente del Po, il primo cortometraggio del regista, realizzato negli Anni Quaranta vicino alla sua Ferrara. InPiazza Italia con fontana (1968) di Giorgio de Chirico si ritrovano gli scorci modernisti dell’architettura di Milano filmata in La notte. Rosso plastica di Alberto Burri (che fu amico di Antonioni) sembra una perfetta emanazione delle foto di scena di Deserto rosso. 
     

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    «Ma mai come adesso, anche dopo la sua morte – continua Païni – il regista ispira ancora l’arte in tutti i sensi, vedi le riproduzioni fotografiche di Jeff Wall. O si pensi al fascino che i personaggi interpretati da Monica Vitti esercitano su Cindy Sherman».
     

    «Alle origini del pop» è il sottotitolo dell’esposizione realizzata nel tempio del cinema francese. Lui, come persona, dall’aplomb britannico, non sembrava così pop. «Ma basta guardare le foto delle protagoniste dei suoi film: i vestiti della Vitti e delle altre attrici lo sono decisamente. Anzi, sono così attuali, sembra di vedere le collezioni di Gucci o di Prada di oggi», continua il curatore.
     

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    Mostra le immagini di Alain Delon, in L’eclisse, 1962. «Interpretava il personaggio di un trader di Borsa. Praticamente è Jérôme Kerviel, il trader pazzo della Société Générale: quelle derive Antonioni le aveva già viste». Ma perché era tanto contemporaneo? «Per il suo stile, la sua astrazione. E perché non era politicizzato: le ideologie passano, il marxismo è morto. Antonioni, in un certo senso, vive ancora». 
     

    «Negli Anni Sessanta in Italia tra i critici prevaleva un’ideologia dominante. E il fatto che Antonioni non ne fosse parte e rivendicasse la sua indipendenza – osserva Maria Luisa Pacelli, direttore di Ferrara Arte, presente ieri al vernissage – ha fatto sì che il regista spesso nel nostro Paese abbia avuto meno successo e sostegno che altrove, come in Francia ad esempio. Antonioni era avanti». L’unico suo problema.

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