Edoardo Sassi per il “Corriere della Sera - Roma”
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In Zone, uno dei suoi componimenti più famosi, il grande poeta e critico d'arte Guillaume Apollinare, dominus nella Parigi intellettuale dei primi del Novecento, citava i «feticci d'Oceania e di Guinea» definendoli «Cristi d' altra forma e d' altra credenza». E fu in effetti una sorta di religione - almeno per l' intensità del «credo» nei suoi tanti adepti - l'amore per il primitivismo esploso nell'allora capitale mondiale delle arti.
Pacifico, Africa, antiche civiltà precolombiane, tribu ai quattro angoli del pianeta: un fenomeno dilagante - l'influenza dell'arte altra sulla produzione artistica occidentale - che coinvolse tanto le avanguardie (si pensi, un nome su tutti, al Picasso dalle Demoiselles d'Avignon, 1907) quanto il collezionismo e il gusto, dagli arredi degli atelier d'artista alla «Revue nègre» di Joséphine Baker.
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Un fenomeno assai vasto e complesso, una delle rivoluzioni più profonde nella storia dell'estetica occidentale, iniziato già a fine Ottocento (Gauguin) e che ora una mostra prova a raccontare focalizzando il taglio sulla scultura. Titolo della rassegna - promossa da Electa e inaugurata ieri nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano - Je suis l' autre.
Giacometti, Picasso e gli altri.
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Il Primitivismo nella scultura del Novecento. Una mostra curata da un antropologo, Francesco Paolo Campione, e da una storica dell' arte, Maria Grazia Messina, dunque con un doppio punto di vista capace di arricchire una rassegna tanto suggestiva quanto «scientifica».
Ottanta le opere: sculture di maestri (ma non solo) accostate a testimonianze di arte etnica e popolare tra XV e XX secolo. Obiettivo: focalizzare la nuova identità della scultura, che al tempo abbandonò la statuaria classica abbandonando, di fatto, la mimesi e la fedeltà alla verosimiglianza. Per Je suis l' autre più che le singole opere - benché tra i nomi esposti, oltre a Giacometti e Picasso, vi siano Braque, Derain, Arp, Zadkine, Max Ernst, Kirchner, Lipchitz, Man ray, Masson, Man Ray... - conta l' insieme. Quella moltitudine di immagini capace di evocare le infinite declinazioni del «primitivismo» in arte, da intendersi non solo in senso geografico.
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La scelta dei curatori arriva infatti a includere l' Art brut di Jean Dubuffet e la sua attenzione all'«urlo» delle produzioni artistiche nei malati psichiatrici. Negli monumentali spazi delle antiche Terme - una delle sedi del Museo nazionale Romano, diretto da Daniela Porro - come in un flusso il visitatore arriva quasi a «confondersi» tra un pilastro di legno delle Isole Salomone che pare un Picasso più del Picasso esposto, tra un bronzo degli anni Trenta e un poggiatesta africano, tra una falsa testa peruviana apotropaica e un' invenzione di Enrico Baj, tra un idolo di Mirko Basaldella e un bastone magico d' Oceania...
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Qualche assenza (Brancusi e Modigliani su tutti) non mina la riuscita di un' esposizione curata fin nei dettagli degli apparati introduttivi, con le foto - famosissime - dell' ereditiera Nancy Cunard (e i suoi mille bracciai etnici) o di Billie Holiday con in mano una scultura afro-americana.
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