Giulia Zonca per “La Stampa”
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Il tempo esce sul tabellone di Belgrado e il tricolore plana sulla pista. È un soffio, è un niente, sono tre millesimi che spostano, di nuovo, il mondo. E stavolta lo spingono via. Marcell Jacobs è campione anche al coperto, batte i migliori, lascia dietro gli Stati Uniti e pure qualsiasi dubbio: le Olimpiadi non erano un sogno, non erano un caso… «la fortuna si rincorre, non ti cade addosso».
Solo la bandiera plana ai sui piedi. Re dei 60 metri che continua a definire «non miei», pure dopo un oro strappato con un brivido, con lo stesso identico tempo di Coleman 6"41, nuovo record europeo.
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Non era mai successo che questa gara si decidesse all'ultimo decimale, con lo stesso cronometro e nemmeno questa è una coincidenza. Jacobs ha risucchiato le certezze all'avversario, ha strapazzato le semifinale passando all'ultima sfida come migliore e poi ha usato la sicurezza per spingere sull'acceleratore, come fa chi sa di essere più forte: «Una gara tosta e difficile, ma se ho qualcuno che tira vicino posso dare il meglio. Gli altri sono due leoni da combattimento, io mi ci sono buttato in mezzo, ho aumentato le frequenze».
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E spinto in avanti il busto, all'ultimo assalto. L'attesa è un incrocio di sguardi e una serie di gambe che saltellano, gli sprinter costretti ad aspettare il risultato. Secondi contro natura: «Me lo sentivo, non sapevo di essere primo però Belgrado aveva un debito con me, mi ha spezzato il cuore con il mio primo amore».
Parla del salto in lungo e degli Europei in cui si è presentato da favorito in questa stessa arena ed è tornato stravolto. Pure nel 2022 si sdraia sulla pista, ma per tutt'altro motivo. I millesimi sono fuori, la posizione è stampata, il bianco, rosso e verde ondeggia prima di atterrargli accanto. E lui scatta di nuovo: «Mancano due medaglie e poi ho vinto tutto. Mondiali ed Europei all'aperto, se quest'estate faccio quello che posso, in due anni ho preso ogni titolo. Sembra pazzesco e voglio che diventi vero».
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Jacobs è abituato a trasformare le sorprese in certezze, ora non è più l'outsider che tanti non hanno voluto considerare e non è nemmeno l'uomo da battere, è quello difficile da prendere. Lo semina solo la futura moglie Nicole che nell'ultima chiamata della mattina gli dice di essere a pranzo fuori.
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Lui non ci crede, insiste, localizza il telefono a Fiumicino («tra noi lo facciamo spesso») e senza più parlarle la aspetta e la trova nel giro di pista. Jacobs raccoglie il figlio Anthony dagli spalti e se lo porta in giro, il tricolore in vita e il figlio in braccio: «Gli ho detto "ecco dove va papà quando non c'è". Dopo Tokyo ci ho messo dieci giorni a riallacciare, lui è permaloso, si offende se non ci sono per troppo tempo. Qui aveva già smesso di rispondere alle videochiamate, ma mi sono riscattato nella festa del papà. Dedicato a tutti i padri, soprattutto a quello del mio allenatore che sta vivendo un momento difficile».
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Oggi farà il tifo per Tamberi, alla coppia d'oro che il primo agosto del 2021 ha portato l'atletica italiana in un'altra dimensione mancherebbe una metà: «Sì, ma siamo atleti, non robot. Io sono felice del successo e soprattutto della consapevolezza che mi porto a casa. So dare il massimo quando conta. Troppi a chiedere il record a ogni gara, è arrivato nella sfida importante».
È arrivato in un soffio, una spinta da tre millesimi che stabilisce una gerarchia. Jacobs è lanciato, dopo una vacanza di 5 giorni («probabilmente a Dubai») aggiungerà 40 metri alle sue falcate e lì non si ragiona più per millesimi. A Belgrado ha staccato la concorrenza, lo scetticismo e il sospetto. Senza fare la faccia da duro, con leggerezza: in un soffio.