Estratto dell’articolo di Viola Giannoli per “la Repubblica”
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«Ho fatto la cameriera, la lavapiatti, la caregiver, ho guadagnato meno di 5 euro l’ora, ma ne ho bisogno: la mia famiglia non può sostenermi, mi pago da sola la spesa, i libri, la stanza in affitto a Viterbo dove gli alloggi studenteschi son pochissimi e io non ho borsa di studio». Stella, 25 anni, fuorisede a Biologia, è una di quelle che studiano e lavorano. Meglio: lavorano per studiare. D’altronde se tra tasse, mensa, materiali, bus, sport e un letto, la vita universitaria costa tra 9 mila e 17 mila euro l’anno, chi poggia su spalle fragili in famiglia come fa?
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«L’anno scorso mi pagavo gli studi lavorando tutti i giorni senza dare nemmeno un esame — dice ancora Stella — Adesso 3 o 4 volte a settimana servo al ristorante o aiuto una signora in difficoltà. È tutto in nero ma i soldi mi servono e per quella donna sono una lucina nel buio della sua depressione».
Né «choosy» né «bamboccioni» — sfortunatissime definizioni di vecchi ministri — sono almeno 365 mila gli studenti lavoratori che si dichiarano tali, uno su cinque, mai così tanti dal 2008. […]
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Ma lavorare non è sempre una libera scelta, anzi «spesso è un cammino obbligato per le difficoltà economiche e le carenze del diritto allo studio: solo il 40% potrebbe permettersi l’università senza un impiego», commenta Camilla Piredda che per l’Udu, con Cgil e Fondazione Di Vittorio, ha lavorato a un’indagine sugli studenti lavoratori.
[…] 6 su 10 hanno enormi difficoltà a frequentare le lezioni, più della metà non ce la fa a stare in regola con gli esami. «È un circolo vizioso: devo lavorare di più per pagarmi l’università ma se lavoro di più ho meno tempo per studiare», ragiona Luca Spanò, 23 anni, al quarto anno di Scienze storiche e cooperazione internazionale. «Ho chiesto la carriera part time, do esami da non frequentante, la media è buona ma vado a rilento. Se lavori tutto il weekend, il lunedì stai ko».
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Come il 67,4% dei coetanei, Luca vive a casa coi suoi. Solo che a casa sono in 7, fratelli, genitori, nonni, il salotto è una camera da letto. «A 18 anni mamma mi disse: se vuoi fare l’università pagatela da solo». Ha fatto il cameriere, l’addetto alla sicurezza nei musei, il banconista, lo stagista retribuito dalla Regione: «40 ore a 800 euro, una follia, non c’è rispetto dei contratti, ti fanno lavorare al posto di un assunto e ti chiedono di recuperare i giorni di malattia. Nessuno conosce i propri diritti».
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[…] I contratti, quando ci sono, sono a tempo, interinali, a chiamata, part time involontari. Michelangelo ha 21 anni, viene da Latina, a Roma studia Scienze politiche ed è dipendente di un’agenzia interinale che fornisce camerieri extra agli alberghi con un contratto a somministrazione, sono stati i primi a metterlo in regola. […]
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