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    “IN INDIA È DIFFICILE DISTINGUERE UN FENOMENO MAFIOSO DA UN BUSINESS LEGALE” – ALTRO CHE PIÙ GRANDE DEMOCRAZIA AL MONDO: LA SCRITTRICE DEEPTI KAPOOR NEL SUO LIBRO “L’ETÀ DEL MALE”, RACCONTA DI UN PAESE VIOLENTO E AFFARISTA - “TRA UN MAFIOSO, UN POLITICO E UN POTENTE UOMO D’AFFARI CAPITA CHE NON CI SIA MOLTA DIFFERENZA. NEL 2019, IL 43% DEI PARLAMENTARI AVEVA PROCEDIMENTI PENALI PENDENTI. CON MODI L’UNICA COSA CHE È VERAMENTE CAMBIATA È LA DIMENSIONE DELLA TRUFFA…”


     
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    Estratto dell'articolo di Roberto Saviano per "Sette - Corriere della Sera"

     

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    […] Dimentichiamo ciò che vorremmo che l’India fosse, il depliant del nostro tour operator, il blog on the road dei fricchettoni con la GoPro, e apriamo gli occhi su ciò che l’India è. O, almeno, su una delle sue molteplici vedute […] L’età del male (Einaudi), della scrittrice Deepti Kapoor - originaria di Moradabad, nello stato dell’Uttar Pradesh - ci parla di un’India violenta, affarista, prevaricatrice, dove la linea di confine tra la mafia, la politica e l’imprenditoria si assottiglia a tal punto da rendere quasi impossibile una definizione accurata dei ruoli sociali.

     

    The Guardian ne ha parlato come della risposta indiana a Il Padrino. Ma lei, l’autrice, ha letto il romanzo di Mario Puzo solo dopo aver pubblicato il proprio, proprio perché i giornalisti continuavano a tirarlo in ballo. In questo romanzo, primo di una trilogia, la potentissima famiglia dei Wadia controlla enormi settori industriali, specula nell’edilizia, impone le proprie regole, si prende ciò che vuole, intere vite, intere famiglie, interi destini, risputandone l’osso.

     

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    Il rampollo di famiglia è Sunny. Con lui, la giornalista Neda stringe un legame ambivalente, giocato sul filo sottile che separa intimità e doveri professionali e che si dipana in una nazione molto più complessa - e anche tetra, ma non per questo meno seducente - di quanto certa mistica dozzinale e stereotipata sia riuscita negli anni a rappresentare.

     

    Altro personaggio centrale, che fa propria la pagina, è quello di Ajay, autista e factotum, povero figlio di poveri. Anche con lui, come con gli altri protagonisti, la penna di Kapoor riesce a farsi sonda e termometro, a sezionare la società indiana e riuscendo nel difficilissimo compito di rivelarne gli anfratti più bui senza per questo doverli illuminare.

     

    I Wadia sono un universo criminale, governano vite e intere economie. Hanno fondato il loro potere nel sangue eppure ora sono la vita stessa della nazione.

    Il tuo romanzo è un viaggio nel cuore di tenebra dell’India?

     

    membri della d company organizzazione criminale membri della d company organizzazione criminale

    «I Wadia sono al centro di una piccola ma importante parte della nazione, una regione dell’India settentrionale soprannominata cow belt .[…] non rappresentano tutta l’India. […] Il mio romanzo ha a che fare con la criminalità della cow belt , dell’India settentrionale. Nello specifico, Uttar Pradesh e Delhi, ma anche Bihar, Madhya Pradesh, Haryana, Jharkhand, Chhattisgarh e Rajasthan. La famiglia dei Wadia controlla, estorce, influenza attraverso la fedeltà politica e gli affari. Loro sanno bene che nulla dura per sempre, tranne il sistema, the game : che ruoti attorno a questioni antiche (casta - varna e jati) o nuove (denaro), quello che resta al centro è sempre il potere.

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    Per molti indiani, il romanzo afferma ciò che tutti già sanno, ciò che è davanti ai loro occhi ogni giorno. Non ho svelato niente, non ho scoperchiato alcun marciume nascosto. […] Quando una famiglia Wadia viene distrutta, un’altra famiglia o un altro gruppo è pronto a prendere il suo posto. Sarebbe ingenuo credere che la malattia provenga dall’esterno. La malattia è nel corpo della nazione, e la nazione è fatta di menti e cuori umani».

     

    Mafia è una parola italiana. Forse la più conosciuta del mondo perché descrive in sintesi ciò che esiste ovunque. Organizzazione, sangue, regole (non leggi). In India la mafia è potentissima. Perché nel mondo si parla cosi poco di mafia indiana? Perché non esiste una vera cultura antimafia in India?

     

    «Bella domanda. Una delle ragioni è che le mafie in India, specialmente nella mia regione, agiscono localmente. C’è la mafia della sabbia, la mafia della terra, la mafia del legname, la mafia dei liquori ecc... Business, racket, prove di forza all’interno dei rispettivi confini. La seconda ragione è che l’India, per molte persone in Occidente, è una terra mistica ed esotica, e c’è un grande desiderio che rimanga nell’immaginario un luogo di spiritualità […] ».

    dawood ibrahim, gangstar e mafioso indiano dawood ibrahim, gangstar e mafioso indiano

     

    […] Bisogna anche dire che spesso è difficile distinguere un fenomeno mafioso da un business legale, perché la legalità è spesso grigia e fangosa. Tra un mafioso, un politico e un potente uomo d’affari capita che non ci sia molta differenza. Nel 2019, il 43% dei parlamentari indiani aveva procedimenti penali pendenti a proprio carico. I criminali hanno a lungo controllato la politica indiana.  […]

     

    «I poveri non hanno il denaro per acquistare, ma dispongono del voto, un bene a cui il politico è molto interessato, così il politico blandisce l’elettore con piccole elemosine, un lavoro qui, un permesso là, e così facendo ottiene il suo favore. È chiaro che esistono anche politici onesti, ma quello furbo, di strada, è più bravo a far girare le ruote della burocrazia. In India, per prosperare nella vita, in politica, negli affari, servono soldi e muscoli. E questo è universalmente riconosciuto».

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    […] Venivo da una famiglia borghese liberale e agiata, per niente povera, ma neanche ricca, per gli attuali standard dell’India. Ho frequentato persone immerse nel nuovo lusso, o meglio, ho frequentato i figli di quelli che sarebbero diventati molto presto super ricchi, una volta che l’economia fosse stata liberalizzata. A vent’anni ero una di loro ma, diversamente da loro, ero una giornalista di giorno e una festaiola di notte. Frequentavo le loro case e luoghi lussuosi riservati ai vip, poi, al mattino, tornavo a casa oltre il fiume da mia madre e mia nonna - in una casa sprofondata nel dolore, con tristi storie alle spalle. Non ero una giornalista infiltrata. Non covavo un ardente desiderio di giustizia. Non stavo spiando. Ero una di loro, pronta come loro a finire nei casini[…]».

     

    Il tuo romanzo è il racconto di come la miseria alimenti gli eserciti di criminali che in realtà sono borghesie industriali: il loro capitale è fondamento dei capitali legali. Il capitalismo è ormai tutto criminale, e guardando l’India sembra evidente. Il libro sembra raccontarlo in modo chiaro. È questo che pensi?

     

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    «Il nesso criminale tra politica e affari è stato per molti anni così eclatante, sfacciato e fuori controllo, che qualcosa doveva cambiare. Quel cambiamento è arrivato con Modi, ma l’unica cosa che è veramente cambiata è la dimensione della truffa e quanto sono bravi a farla franca. […] stiamo entrando in una fase di silenzio e controllo dei media, dove, per citare The Wire , la valigetta vince sul fucile e la violenza non è perpetrata direttamente da chi detiene il potere, ma piuttosto dai suoi seguaci».

    […]

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