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    “IL NOSTRO AMORE DURÒ PERCHÉ NON CI FU MAI SESSO” – AMANDA LEAR RACCONTA “LA SUA VITA” CON SALVADOR DALÌ: “NON MI DEFINÌ MAI AMANTE. E NEANCHE MODELLA. ODIAVA L'IDEA BORGHESE DEL MARITO CHE DI NASCOSTO FA I REGALI AD UN'AMANTE. ERA GALA CHE MI PAGAVA I VIAGGI, GLI ALBERGHI. FU UN MENAGE À TROIS DI CUI SI PARLÒ MOLTO” – “ERA COME IL DOTTOR JEKYLL E MISTER HYDE. INSOPPORTABILE IN SOCIETÀ. UN PAGLIACCIO. LONTANO DAI FLASH, SI TRASFORMAVA IN UNA PERSONA SQUISITA” – LA SPECIALIZZAZIONE IN “CHIAPPE” E LA PAURA PIÙ GRANDE: “NON RENDERMI CONTO DI DIVENTARE RIDICOLA CON L'ETÀ”


     
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    Estratto dell’articolo di Fulvio Paloscia per www.repubblica.it

     

    AMANDA LEAR - LA MIA VITA CON DALI AMANDA LEAR - LA MIA VITA CON DALI

    Quando si videro per la prima volta, era un altro mondo. Parigi, 1965. […] Amanda Lear aveva 26 anni. Magrissima, bellezza fuori dai canoni, faceva la modella, posava per le copertine dei Roxy Music, frequentava la swinging London. E dava del tu ai Rolling Stones.

     

    Salvador Dalì era invece un'attempata superstar della pittura. Animava salotti en travestì, i suoi baffi dettavano legge sul mercato, con prezzi direttamente proporzionali al loro sfidare la forza di gravità. La differenza d'età tra i due era tanta, "eppure - racconta lei - la scintilla scoccò. Non subito, perché all'inizio mi stava antipatico. Ma poi quel magnetismo speciale finì per catturarmi".

     

    La storia d'amore è tutta in un libro, La mia vita con Dalì, che ormai è un classico: pubblicato una trentina d'anni fa da Costa & Nolan, ora torna grazie al Saggiatore, che lo ha scelto come biglietto da visita da Testo.

     

    "[…] Su di lui si sono scritte montagne di balle, e invece io sono stata sincerissima. Come potevo mentire? Il libro uscì quando Dalì era ancora vivo. Lo lesse, lo approvò. È l'unico sguardo veritiero sulla sua intimità, quotidianità. Che per un artista vogliono dire molto".

     

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    Il rapporto con Dalì non risparmia colpi di scena. Il primo: lei non amava la sua pittura.

    "Io ho studiato belle arti, adoro Gauguin, gli impressionisti, i fauve. […] non capivo niente di quei suoi quadri molli. Anzi, mi facevano paura. Poi, vivendo con Dalì, ho scoperto che era un grandissimo pittore. Ma per amore dei soldi cedeva volentieri alla faciloneria, al pasticcio dipinto in fretta e furia, ai fogli imbrattati a caso con gli acquerelli. Io lo criticavo per questo".

     

    E anche il carattere, quante ombre.

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    "Era come il Dottor Jekyll e Mister Hide. Insopportabile in società. Un pagliaccio. Lontano dai flash e dalla ribalta, si trasformava in una persona squisita. Pieno di attenzioni, pronto a trasmettere la sua cultura sterminata, a cullarti con i suoi racconti su Hollywood, Hitchcock, Sinatra. Poi arrivava la tivù... e alè con il circo".

     

    Altro colpo di scena: il libro è dedicato alla moglie di Dalì, Gala. Lei, signora Lear, era l'amante...

    "La prima volta che me la presentò, lei mi osservò con certi occhietti. Poi siamo diventate amiche. Era innamoratissima, ma anche stanca di un uomo ingombrante, difficile da gestire, che non sopravviveva lontano da lei.

     

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    Il fatto che ci fossi anche io accanto a lui le concesse una boccata d'ossigeno. Finalmente potè distrarsi, viaggiare. Così mi dette le chiavi di casa, liberò una stanza tutta per me, mi accettò. Fu un menage à trois di cui si parlò molto, la gente pensava ci fosse un amore lesbico tra me e Gala. E Dalì non mi definì mai amante. E neanche modella".

     

    E come, allora?

    "Musa. In lui c'era tanta ipocrisia cattolica mista ad un machismo tutto spagnolo: non ti do soldi, quindi non sei mia amante, mi diceva. Per lui tradire era insopportabile, odiava l'idea borghese del marito che di nascosto fa i regali ad un'amante. Era Gala che mi pagava i viaggi, gli alberghi. Quando ci sposeremo, sarà diverso, mi diceva lui. Ma come sposeremo? Tu hai già una moglie. E Dalì: ci sposeremo lo stesso. Credeva davvero nella bigamia. Il nostro amore durò perché non ci fu mai sesso. L'ardore fra i corpi finisce presto, l'intesa intellettuale è eterna".

     

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    Pensa di aver lasciato una traccia nella pittura di Dalì?

    "Credo di sì. Ad un certo punto s'invaghì della stereoscopia. Fu dopo che lo trascinai ad una mostra, a Parigi, di Gerrit Dou".

     

    E lui ha influenzato la pittura di Amanda Lear?

    "Purtroppo. All'accademia mi avevano insegnato la prospettiva, le proporzioni del corpo umano. Dalì cancellò tutto. Diceva: Van Gogh fa schifo, Rembrandt pure. Esistevano solo Vermeer, Velázquez e Raffaello. Era tirannico. Dopo la sua morte […] piano piano ho trovato la mia voce".

     

    E si è specializzata in nudi maschili.

    "Le prime emozioni erotiche le ho avute davanti ai corpi virili delle statue classiche e di Rodin. Dipingo uomini di schiena (e poche donne, tutte in carne). Diciamolo, sono specializzata in chiappe, mi vengono molto bene[…]”

     

    […]  Cosa le fa paura?

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    "Quello che sta accadendo. Le pandemie. La terza guerra mondiale. I telegiornali, perché ti fanno pensare che non arriverai al giorno successivo. E il non rendermi conto di diventare ridicola con l'età. […]".

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