Andrea Rossi per lastampa.it
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Dagli anni dello Stato-padrone a quelli del mercato scatenato fino alla pandemia, e ora la guerra, che rilanciano in modo prepotente il peso dello Stato. E, soprattutto, riaffermano il ruolo delle democrazie. «Da anni sostengo la forza della democrazia contro il fascino indiscreto dei regimi autoritari», ragiona Giuliano Amato.
«Certo, oggi la democrazia è resa forte più che altro dall'inaccettabilità dell'autoritarismo, ma le sue fragilità restano». Intervistato dal direttore de La Stampa Massimo Giannini al Festival dell'economia di Torino, il presidente della Corte Costituzionale riflette sull'onda lunga che ha portato il mondo, e l'Occidente in particolare, dal fronteggiare una pandemia e i suoi strascichi sociali all'immergersi in un conflitto nel cuore dell'Europa.
Presidente, che lezione ci sta insegnando questa guerra e come cambierà il corso degli eventi, il modo di vivere, pensare, produrre?
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«Mentre Putin era ancora relativamente "tranquillo" nelle società occidentali si faceva strada l'idea che l'autoritarismo accentrato, la sua rapidità decisionale ed efficienza non fossero un sistema disprezzabile rispetto alla fatica delle democrazie».
Poi è arrivato il conflitto e ci ha fatto comprendere qualcosa che forse non avevamo capito.
giuliano amato foto mezzelani gmt010
«Si può definire una guerra operazione speciale, si possono negare alle madri i corpi dei figli morti, si può sostenere che per un soldato che ha occupato un territorio le donne che incontra si possono stuprare perché sono bottino di guerra? Mentre i giornalisti di tutto il mondo lo documentano, in Russia tutto ciò viene negato e chi osa parlarne viene arrestato. Giornali come la Novaja Gazeta hanno preferito sospendere le pubblicazioni dato che l'unica alternativa era raccontare la non-verità di regime. Ecco cosa abbiamo capito: la democrazia è fondata sul fatto che nessuno possiede la verità; ci sono i fatti e la discussione su come fronteggiarli».
È giusto e risponde ai valori e principi della Costituzione armare il popolo ucraino che sta resistendo?
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«Secondo Per l'articolo 11 l'Italia ripudia la guerra come mezzo per risolvere le controversie, ma non ripudia la guerra in assoluto. La Costituzione prevede il sacro dovere di difendere la patria. E poi ci sono i vincoli assunti in sede europea e internazionale: il dovere alla solidarietà verso i membri dell'Unione europea aggrediti da altri e la clausola di solidarietà tra i Paesi membri della Nato».
L'Ucraina non è un paese dell'Ue e nemmeno della Nato.
«La carta delle Nazioni Unite prevede l'obbligo di intervenire a fianco di Paesi aggrediti in attesa che l'Onu agisca, cosa che non accade mai, non essendosi dotato di una propria forza militare. È una norma poco chiara perché prevede una transitorietà dell'autodifesa, anche assistita, in attesa di un intervento dell'Onu che storicamente non si è mai verificato. E allora qui mi attengo al senso che gli italiani attribuiscono ai principi della nostra Costituzione: la solidarietà, valore fondamentale della Repubblica, il rispetto per la dignità della persona, l'uguaglianza, valgono solo nei nostri confronti? Il confine della solidarietà umana dev'essere segnato dai trattati o dalla coscienza?».
giuliano amato riunione straordinaria della corte costituzionale 1
E qui torniamo al valore delle nostre democrazie ma anche alla loro fragilità.
«Viviano un'epoca di ritorno dello Stato dopo la crisi finanziaria di dieci anni fa e la pandemia. L'onda neoliberista ha generato un nuovo bisogno di Stato, sproporzionato. Tra gli effetti negativi della stagione neoliberista c'è la crescente rincorsa della finanza ai ritorni a breve termine, che ha prodotto danni all'economia reale. Così lo Stato è tornato non per limitare genio e sregolatezza del mercato quanto per fornire al privato le risorse per gli investimenti a medio termine».
giuliano amato
Con quali rischi?
«Replicare antichi vizi del passato ma non solo. Si rischia il "bossy state", lo Stato padrone che attraverso l'erogazione delle risorse può porre le condizioni verso un autoritarismo accentratore».
L'Helicopter money, il distribuire risorse a pioggia per sostenere famiglie e imprese durante la pandemia, è stato dunque un errore?
«Era una questione di sopravvivenza. Nel nostro ordinamento le persone vengono prima dello Stato. Non siamo carne da macello. Però non possiamo vivere eternamente abbracciati all'idea di uno Stato pagatore di ultima istanza».
Scostamenti di bilancio, bonus, sussidi, sostegni, ristori: stiamo abituando i cittadini al fatto che prima o poi passa l'elicottero e distribuisce soldi a pioggia?
giuliano amato riunione straordinaria della corte costituzionale 3
«Già da tempo è così. Ogni tanto mi chiedo se oggi Nino Andreatta, un grande italiano che nel 1981 ottenne che si celebrasse il divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro, e che governi e Parlamento non potessero più attingere alle risorse con una certa facilità e a un tasso d'interesse simbolico, chiederebbe il divorzio tra le tesorerie e le banche centrali».
E che risposta si dà?
«Che l'avrebbe chiesto da tempo. L'idea che una cosa chiamata scostamento di bilancio non abbia nulla a che fare con il debito è stata favorita dal fatto che da anni il sistema delle banche centrali pompa i titoli pubblici degli Stati. Poi un giorno arriva l'inflazione: usualmente per combatterla si alzano i tassi d'interesse ma ora ci si stupisce che al solo parlarne lo spread, di cui ci eravamo quasi dimenticati, riemerga».
VLADIMIR PUTIN A DAVOS - 2009
Abbiamo però un gigantesco problema di equità sociale che l'inflazione e la guerra fanno riesplodere. Ma se lo Stato deve tenere a terra l'elicottero come si evita che a pagare siano i più fragili?
«Tra i fattori di debolezza della democrazia questo è il principale. Ha bisogno di coesione sociale, che si realizza con il consenso di tutti verso obiettivi comuni ma a patto che le distanze in termini di reddito e opportunità non superino un certo livello di tollerabilità. In Italia questo tema è aggravato dal fatto che mentre in altri paesi i divari sono cresciuti per il vertiginoso innalzamento dei redditi e dei patrimoni alti, da noi si è verificato anche un abbassamento dei redditi medio-bassi».
GIULIANO AMATO
Chi deve intervenire?
«Chi è parte dell'economia reale ha la responsabilità di una crescita adeguata dei redditi di tutti. Lo Stato ha il dovere e il diritto di dire alle imprese che la crescita non è solo loro; è del Paese e dei suoi cittadini. La crescita salariale non è una responsabilità dello Stato. Sarebbe sbagliato. E non credo esistano rischi di spirale salari-prezzi. Non vado orgoglioso di tantissime cose fatte ma sicuramente lo sono dell'accordo siglato nel 1992 in Banca d'Italia con Ciampi davanti a un piatto di spaghetti al pomodoro. Definimmo il tetto di crescita dei salari, Carlo Azeglio mi disse: ora succeda quel che deve succedere sui mercati valutari ma siamo al sicuro. La lira svalutò fino al 25% in autunno, ma nel 1993 il tasso d'inflazione interna non crebbe».
Sembra suggerire un grande patto sociale come nel '92-'93. Vede un clima politico e sociale fecondo?
«Si dice che non è più possibile un compromesso sociale perché il mercato del lavoro interno si è sfrangiato e non c'è più una rappresentanza nazionale e dall'altra parte la componente datoriale si è sovranazionalizzata. Questa asimmetria esiste ma se si fotografa l'Italia di oggi i sindacati e le organizzazioni datoriali conservano una forza rappresentativa».
Amato Mattarella
Manca la politica?
«Le parti sociali da sole non ce la fanno. Ci sarà anche un terzo giocatore a quel tavolo».
Il futuro delle democrazie è in pericolo?
«Se facciamo la somma dei fattori negativi e di quelli positivi la bilancia pende dal lato negativo. Tra i fattori aggreganti prevalgono quelli regressivi: la difesa del suprematismo bianco, dei valori tradizionali rispetto a quelli innovativi, di chi c'è già rispetto a chi arriva da lontano. A questo dobbiamo aggiungere la polarizzazione radicale dei sistemi politici. D'altra parte non possiamo ignorare la qualità generata dalle nostre società che prima non esisteva: solidarietà, indignazione verso discriminazioni e atrocità, il sapere e la sensibilità dei giovani, il lavoro degli insegnanti.
sergio mattarella giuliano amato
Dalla cucina escono cibi e profumi nuovi. L'altro giorno ho incontrato una classe elementare, ho raccontato loro che nell'anno in cui sono nato una legge ha stabilito che i bambini ebrei non potevano più andare a scuola. Una bimba ha alzato la mano e ha detto: come Anna Frank. Conosceva la storia. Mi sono commosso e ho pensato che c'è una speranza. E di quella viviamo».
FRANCO ROMANI E LA SOCIETA' LEGGERA
Guido Stazi per milanofinanza.it
PRIEST AMATO D'ALBERTI E COTTARELLI
La Sapienza celebra oggi un suo grande docente, Franco Romani, nel ventennale della sua scomparsa. Romani ha insegnato a lungo politica economica nella facoltà di giurisprudenza, è stato uno dei fondatori dell’Antitrust italiano ma, soprattutto, è stato un grande pensatore liberale. In un volume del 1995 -La società leggera- mise a fuoco i rapporti tra lo Stato e la società nelle democrazie liberali.
Nel momento in cui viviamo un ritorno dell’azione pubblica nell’economia e nella società occidentale e assistiamo attoniti ai pericoli derivanti dagli stati autoritari, è bene tenere a mente le sue parole: "Lo Stato non è il padreterno, non è onnisciente né onnipotente, anzi, tende molto spesso a fare danno anche quando le intenzioni sono buone.
AMATO STAZI
Per questo va controllato e vincolato; e i cittadini devono stabilire un rapporto da adulti col potere pubblico. D’altro canto la società civile va rafforzata e coltivata con grande cura perché ha enormi potenzialità di creare ordine, armonia, cooperazione e di far emergere istituzioni e norme indirizzate al bene comune. Una società liberale avrà fondamenti sicuri solo quando i cittadini avranno imparato che possono far conto su se stessi”.
Molte delle sue idee le sviluppava durante le lezioni del suo corso di politica economica che spesso virava sulla filosofia politica; e il fatto di avere di fronte studenti di legge e non di economia lo spingeva ad eliminare i tecnicismi della disciplina, per mettere in luce i temi di fondo della riflessione economica sullo Stato.
AMATO D'ALBERTI
Attraverso esemplificazioni improbabili e apparentemente banali, offriva agli studenti l’occasione di conoscere autori e argomenti importanti, nonché di riflettere sulle questioni fondanti il pensiero economico e filosofico contemporaneo. Al dibattito che ne scaturiva Romani era autenticamente interessato, valutava attentamente e contro argomentava ogni posizione, senza l’ombra di alcuno snobismo intellettuale.
franco romani
Era questo un modo di essere professore che affascinava gli studenti e mostrava la vera natura del Professor Romani, educatore piuttosto che accademico. E in quelle lezioni sosteneva che “La forte crescita del ruolo dello Stato nella vita economica non può essere spiegata semplicemente con la forza delle idee. Gli economisti, come tutti gli intellettuali, non pensano nel vuoto, ma riflettono i problemi, le preoccupazioni, gli umori dei tempi in cui vivono e l’interazione fra idee e realtà è continua. Il liberalismo si sviluppa simbioticamente col mercato.
Se le economie di mercato funzionano soddisfacentemente, il liberalismo si rafforza in tutti i suoi aspetti e viceversa”. Alcuni studenti di quelle lezioni sono poi divenuti suoi allievi ed hanno continuato a beneficiare del suo genio, formandosi al suo metodo intellettuale, che non conosceva forme di pregiudizio ma privilegiava solo la forza degli argomenti. La brillante semplicità del suo argomentare e del suo modo di essere erano i segni di una grandezza rimpianta da tutti quelli che hanno avuto il privilegio di percorrere un tratto di strada con lui.
franco romani GIULIANO AMATO giuliano amato mario draghi sergio mattarella
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