DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Caterina Ruggi d'Aragona per corrierefiorentino.corriere.it - Estratti
A 4 anni dai suoi ultimi live, Amedeo Minghi torna sui palchi italiani per il 40esimo anniversario di «1950» con una tournée che, dopo l’anteprima ad Aprilia ha come prima tappa il Teatro Verdi di Firenze, martedì (20.45).
(...)
Perché cantare oggi «1950»?
«È un brano di terribile attualità, che racconta un momento di pace e riscatto alla fine di una guerra terribile. Serenella non è solo una bella ragazza a passeggio per le strade romane; è l’Italia, che prende coscienza di sé e di un progetto possibile. Tutto questo stride con il mondo di oggi, funestato da oltre 70 conflitti, tra cui uno che ci coinvolge fino al collo e l’altro che ci vede alleati di chi difende la guerra. Resta la speranza in chi come me crede che i nipoti possano un giorno vivere in un mondo migliore».
La sua fede non ha mai vacillato?
«Vacillo eccome. Non mi spiego perché gli uomini di Chiesa con ruoli importanti non facciano qualcosa di tangibile per fermare la guerra. Giovanni XXIII seppe impedire grandi tragedie. E credo che Giovanni Paolo II sarebbe intervenuto oggi, mentre tutta la società sembra inerte».
Cosa l’ha colpita di Papa Wojtyla, al punto da scrivere una canzone su di lui?
«Ci siamo incontrati in diverse occasioni, anche a tu per tu, ma le cose dette al Papa non si riferiscono. Mi sorprese come artista: scriveva commedie e canzoni; cantava con una voce potente, intonata. Quando gli dedicati Un uomo venuto da lontano, in Sala Nervi davanti a 10 mila persone, non gli arrivò bene l’audio. Subito dopo mi chiese di portargli il testo. “Voglio vedere cosa hai detto di me”, disse. Poi gli portammo una pizza giallo-rossa, perché avevamo scoperto che simpatizzava per la Roma, ed era una buona forchetta».
Tra i giovani colleghi chi le piace?
«Elisa, mi piacerebbe duettare con lei. Giovanissimi non ne conosco, perché ascolto poca musica; trovo chi eccelle in ogni genere, pure nella trap; e qualche volta mi faccio dire dall’App del telefono chi è. Ho ricevuto persino un Tapiro d’oro, perché non avevo riconosciuto un famosissimo dj che al Dopo Festival stroncò Cantare è d’amore».
Anche «1950» andò malissimo a Sanremo…
«Eliminata in prima serata. L’avevo immaginato: la canzone risentì del taglio da 5 a 3 minuti, che la privò del suo respiro. Si è rifatta poi».
Nel 1990 conquistò assieme a Mietta il terzo posto con «Vattene amore».
«Incredulità pura. Nessuno immaginava che stessimo cantando una cosa epica, con un’insidia letteraria: i due protagonisti dicono di volersi lasciare prima di arrivare a chiamarsi trottolino amoroso. La gente l’ha frainteso, trasformandola in un inno della stupidità».
Mietta sarà ospite al Verdi di Firenze.
«All’epoca non abbiamo avuto tempo di fare concerti assieme. L’accoglienza del pubblico dell’Arena di Verona, a settembre scorso, ci ha fatto venire voglia di recuperare ora».
Quando ha capito che la musica sarebbe stata la sua strada?
«Ho sempre immaginato che avrei fatto il musicista. Per la verità, da ragazzino volevo diventare direttore d’orchestra».
I suoi genitori l’hanno sostenuta?
«Mamma Vittoria sì. Papà Arturo, mastro scalpellino, all’inizio mi osteggiò, anche se mi accompagnava ai provini; alla fine è diventato il mio più grande fan. Oggi ci sono i nipoti: un ragazzone 20enne e una meravigliosa peste di 5 anni: gli unici che io ammetta sul palcoscenico».
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