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    AMERICA GAMBIZZATA - MOLTI DEI FERITI DI BOSTON HANNO PERSO GLI ARTI INFERIORI


     
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    Maurizio Molinari per "La Stampa"

    BOMBA MARATONA BOSTONBOMBA MARATONA BOSTON

    E quando Ron Walls, primario del pronto soccorso, esce in camice bianco se ne ha la conferma. «Per chi come noi si occupa ogni giorno di civili e non militari stiamo affrontando un evento senza precedenti» esordisce, spiegando che «fra i 31 pazienti che abbiamo in cura, compresi fra 16 e 62 anni, molti mostrano caratteristiche simili». Ecco di cosa si tratta: «Sono arrivati con ferite diverse, ma tutte gravi, soprattutto alle gambe».

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    La voce ferma del medico veterano non riesce a nascondere l'emozione quando, sul marciapiede circondato dai reporter, parla di «persone che hanno perduto grande quantità di tessuti dagli arti inferiori oppure hanno le ossa delle gambe fratturate in più parti». Si tratta di «ferite che nessun essere umano dovrebbe mai subire e neanche vedere aggiunge Walls - ma queste persone stanno reagendo con una calma ammirabile».

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    Negli otto ospedali della città dove sono ricoverate 156 persone, inclusi otto bambini, si tratta di una tipologia di ferite riscontrata nella maggioranza di coloro che versano in gravi condizioni. «È qualcosa che non ho mai visto in 25 anni di carriera» ammette a denti stretti Alisdair Conn, capo dei servizi di emergenza del Massachusetts General Hospital, parlando di «ferite da scene di guerra» che in molti casi «hanno portato le vittime ad arrivare in ambulanza tenendo in mano le gambe amputate dall'esplosione».

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    Dalle testimonianze dei sopravvissuti arrivano conferme sulle caratteristiche delle ferite. John Ross, che era sulle tribune al momento delle due esplosioni, racconta di «aver visto le gambe della gente volare in aria, è stata una scena di un orrore indescrivibile, ero così vicino ed avevo così paura».

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    Roupen Bastajian, ex Marine del Rhode Island, era fra i maratoneti e parla di «corridori che arrivati al traguardo si sono trovati senza gambe, con sangue, ossa e cartilagini da tutte le parti». I primi soccorritori, aggiunge Ross, «erano sotto choc, hanno usato le cinture dei pantaloni per legare gli arti degli amputati, tentando di portarli via in qualche maniera».

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    Il motivo delle gambe mozzate è nella fattura delle bombe: contenevano biglie o schegge affilate al fine di infierire sui corpi delle vittime e la direzione dell'esplosione le ha trasformate in una pioggia di metallo che ha investito gli arti inferiori di chi si trovava ad applaudire i corridori nei pressi del traguardo della maratona. In questa maniera gli arti amputati sono diventati la firma dell'attentatore.

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    Chiunque sia ad aver immaginato e realizzato l'attacco di Boston, ha confezionato gli ordigni al fine non solo di uccidere ma di flagellare i corpi delle vittime, condannandole a sofferenze orrende. Al Tuft Medical Center la portavoce sanitaria, Julie Jette, parla di «seri traumi, ferite profonde da schegge e rotture di arti inferiori» che hanno comportato «massicce trasfusioni di sangue» mettendo a dura prova i reparti.

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    Nella notte seguente l'attentato in tutti gli ospedali si sono ripetuti quasi senza interruzione interventi di chirurgia agli arti inferiori e il fatto che i centri di ricerca di Boston sono all'avanguardia in questo campo «ha giovato a gestire le situazioni più critiche» come spiegano all'unisono Walls e Conn, descrivendo una «imponente mobilitazione notturna di quanto di meglio la scienza medica e chirurgia può offrire in questa città».

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    Le scorte di sangue negli ospedali sono scese sotto il livello di guardia e ciò ha portato a lanciare in tempo reale nuove raccolte, facendo appello non solo ai tradizionali donatori. Emily Clark, giovane studentessa del Boston College di Weymouth dopo aver corso la maratona si è presentata spontaneamente al Massachusetts General Hospital per offrire il sangue e racconta che «molti altri corridori come me hanno fatto la stessa cosa senza pensarci troppo». Il personale dell'ospedale, oberato dall'emergenza-amputazioni, si è trovato davanti a un numero tale di donatori da chiedere loro di tornare nelle 48 ore seguenti.

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    Quando il sindaco Thoman Menino parla di una città «teatro di solidarietà spontanea sin dagli attimi immediatamente dopo le esplosioni» si riferisce a storie come queste, da cui trae la convinzione che «Boston risorgerà» a dispetto di chi l'ha voluta ferire «perché questa è una terra di eroi e patrioti americani».

     

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