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American Apparel, il noto marchio statunitense di abbigliamento, ha presentato istanza di fallimento a causa degli enormi debiti accumulati e di una grave crisi delle vendite. Lunedì 5 ottobre il consiglio di amministrazione dell’azienda ha presentato a un tribunale del Delaware la richiesta di entrare sotto la protezione del “Chapter 11” della legge fallimentare degli Stati Uniti.
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Il “Chapter 11” equivale più o meno al concordato preventivo previsto in Italia - uno strumento a disposizione dell’imprenditore in crisi o in stato di insolvenza - e permette alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione e un risanamento a seguito di una grave crisi finanziaria che dovranno però essere approvati da un giudice: spesso viene erroneamente e letteralmente tradotto come “bancarotta”. American Apparel ha già raggiunto un accordo con i suoi principali creditori: prevede una riduzione del debito attraverso la cessione di azioni pari a 200 milioni di dollari e anche un finanziamento aggiuntivo di circa 90 milioni.
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Per ora l’azienda – guidata da Paula Schneider – non ha parlato di licenziamenti, ha fatto sapere che intende mantenere la produzione degli Stati Uniti e ha precisato che la procedura di fallimento (e anche l’eventuale riorganizzazione a seguito del via libera del tribunale fallimentare) riguarderà le attività dell’azienda negli Stati Uniti.
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I problemi economici e finanziari di American Apparel sono noti ormai da anni: dal 2010 a oggi l’azienda ha perso circa 340 milioni di dollari. Tra il 2014 e il 2015 ci sono stati una serie di trimestri consecutivi chiusi in perdita, le vendite negli ultimi mesi sono diminuite del 17 per cento, le azioni in borsa sono arrivate lo scorso venerdì a valere appena 11 centesimi e i problemi di liquidità non erano più sostenibili: al momento l’azienda dispone di circa 11 milioni di dollari e a ottobre avrebbe dovuto pagare interessi per quasi 14. Il fallimento, scrive il New York Times, «non era più questione di se, ma di quando».
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American Apparel è stata fondata nel 1997 a Los Angeles, in California, nel 2003 ha aperto il suo primo negozio e ora ha 260 negozi in 19 nazioni, la metà circa sono negli Stati Uniti. Il fondatore di American Apparel è Dov Charney, che negli anni ne è stato anche presidente e amministratore delegato. Grazie a Charney il marchio American Apparel è diventato un’icona dell’abbigliamento, soprattutto tra i giovani, grazie a capi semplici, colorati, sportivi e spesso promossi grazie a campagne pubblicitarie sessiste.
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Nel giugno 2014 il consiglio di amministrazione di American Apparel ha rimosso Charney dai suoi incarichi di presidente e amministratore delegato per via di alcuni casi di “cattiva condotta“, tra accuse di sessismo e sospetti di violenza sessuale. Charney al momento è in causa con American Apparel e ci sono state molte proteste e denunce anche da parte dei lavoratori dell’azienda a causa di licenziamenti e orari ridotti.
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