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    “ERO LA SECONDA AMANTE DI UN RAGAZZO. DOPO LA FIDANZATA UFFICIALE E L’AMANTE UFFICIALE, VENIVO IO". AMORI, DOLORI E BOLLORI DI CAMILLA BONIARDI, IN ARTE CAMIHAWKE, CHE HA SBANCATO CON IL SUO PRIMO LIBRO: “PER TUTTO IL LICEO MI SONO SENTITA CANTARE DIETRO: 'COME LA BARCA VA, LASCIALA ANDARE'. PER VIA DEL MIO SEDERE, CREDO. ERO QUELLA VESTITA MALE MAI AMATA, MOLTO A DISAGIO. CERCAI DI ESSERE ALTRO, HO SCRITTO QUESTO ROMANZO PER…" - VIDEO


     
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    Teresa Ciabatti per corriere.it

     

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    «Marta mi somiglia, ma non sono io» dice Camilla Boniardi, in arte Camihawke, in merito alla protagonista del suo primo romanzo Per tutto il resto dei miei sbagli (Mondadori). Chi la segue ha difatti pensato di riconoscere in quella ragazza insicura, tormentata dal senso di inadeguatezza, lei.

     

    Quella protagonista che nella ricerca del suo posto nel mondo, tentando di essere come gli altri la vogliono, trova sé stessa nell’imperfezione. Certo, tratti in comune Marta e Camilla ne hanno, fosse solo la resa all’inadeguatezza.

     

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    Da anni Camilla si racconta sui social, in un esercizio di ironia e di sincerità che le ha fatto conquistare un milione e duecentomila follower su Instagram, e l’ha portata a questo libro (primo giorno di preorder: quindicimila copie). E dunque: cos’ha di speciale questa trentenne di Monza, laureata in giurisprudenza, padre chirurgo, madre gastroenterologa? Cosa ha di diverso la ragazza dai lunghi capelli rossi e le lentiggini?

     

    Raccontare la quotidianità sul web

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    Il fatto di aver capito che la normalità è un valore universale, a differenza dell’ideale che crea distanza e dura poco. Raccontando la quotidianità, Camihawke cambia le regole della comunicazione social. Nella moltitudine di ragazze perfette, lontanissime, lei emerge presentandosi come una delle tante: fallimenti, dubbi, delusioni d’amore, e poi l’amore, quello vero (Aimone), a suo modo anche lui fuori dai canoni Instagram:

     

    frontman del gruppo rock underground Fast Animals and Slow Kids (animali veloci e bambini lenti) che già nel nome comprende una parte di umanità, di ragazzi che non sono gli influencer legati a moda e televisione. Comprende quella giovinezza che Camihawke narra/rivendica ogni giorno e lui canta, ecco dove si sono incontrati: sulle parole. Ecco l’origine di questo romanzo, che è racconto esatto di una generazione.

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    Avere trent’anni per Camilla?

    «Arrivarci ha comportato una serie di tentativi a vuoto. Nel romanzo volevo raccontare proprio i tentativi di quel momento di mezzo che sono i vent’anni, l’età in cui non sai ancora cosa puoi diventare».

     

    Cosa voleva diventare lei?

    «Mentre le mie amiche avevano le idee chiare, come la Olivia del romanzo, io ero sperduta».

    Talenti?

    «Nessuno».

    Mai sognato di essere attrice, ballerina?

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    «A otto anni facevo danza, partecipavo al saggio di fine anno».

     

    Posizionamento sul palco?

    «Seconda fila, a sinistra. Molto a sinistra».

    Ingiustizia?

    «La mia fila rispecchiava il mio status. Non la percepivo come una punizione».

    Che bambina è stata?

    «Responsabile, col bisogno di essere all’altezza dei desideri degli altri».

    Concessioni alla fantasia?

    «Non avevo amici immaginari, ma alunni immaginari. Un po’ di rossetto, e ero la maestra. Nella mia camera davo compiti, mettevo note di merito e di demerito, da qualche parte devo avere ancora i registri. Era quello il mio unico momento di protagonismo».

     

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    Ai margini anche al liceo?

    «Sono cresciuta prima delle mie amiche. Loro bimbe, longilinee, io fianchi, cosce. Ero sviluppata nei punti sbagliati, niente seno. E brufoli».

    Perciò?

    «Se oggi riguardo le foto: vestiti troppo larghi, correttore troppo scuro per coprire i brufoli, non sapevo truccarmi. Ogni giorno mi chiedevo: quando finisce l’adolescenza?».

     

    Finisce.

    «Per tutto il liceo mi sono sentita cantare dietro: “Come la barca va, lasciala andare”. Per via del mio sedere, credo».

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    Uscita dal liceo?

    «Altro momento tremendo che racconto nel libro, quello che vive Marta».

     

    Uguale a quello che vive Camilla?

    «Intanto non supero il test di Medicina. Quindi m’iscrivo a Biologia. Un anno di biologia nel quale scopro di essere negata per le materie scientifiche, impiego un anno solo per capire cos’è una molecola. Cambio, m’iscrivo a Giurisprudenza che finisco in ritardo».

    Pensiero?

    «Essere rimasta indietro, non tenere il passo dei miei coetanei».

    Nel frattempo l’amore.

    «Divento la seconda amante di un ragazzo».

     

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    Nello specifico?

    «Dopo la fidanzata storica, dopo l’amante ufficiale, venivo io, per terza. Terza però convinta che un giorno avrei ottenuto la prima posizione».

    Ottenuta?

    «Mai».

    Il momento in cui capisce che il primo posto è impossibile?

    «Durante un pomeriggio insieme in cui mi convinco di essere la sua scelta. Penso: ora lascia la fidanzata, l’amante, e mi chiede di andare a vivere con lui. Al che gli squilla il telefono. Si allontana, io origlio. “Ciao amore, dice, sono all’università, sto tornando e non vedo l’ora di vederti, dormi da me stasera, ti prego”. Era la fidanzata».

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    Conseguenza?

    «Vorrei poter dire che lì ho messo fine al rapporto. Invece no. Non ho reagito».

    Che significa non reagire?

    «Tenersi dentro tante parole e gesti che un giorno verranno fuori di botto».

    Per quanto ancora ha cercato di essere quello che volevano gli altri?

    «Qualche anno».

    Continuava il senso di inadeguatezza?

    «Arrivata a Milano dalla provincia ero fuori luogo ovunque. Lo ero nell’ambiente rock dark, in quanto non abbastanza rock. Niente tatuaggi e piercing».

     

    Oggi ha un piercing al naso.

    «Fatto all’epoca per dire: anch’io sono cattiva. Accettatemi».

    L’accettano?

    «No. Al punto che cambio ambiente: Milano modaiola».

    Si integra?

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    «Tutto in me era sbagliato: vestiti, trucco, persino la frangetta quando non andava di moda».

     

    Prova a trasformarsi? 

    «Un giorno vado da Humana Vintage e compro magliette, felpe, jeans a casaccio, purché Adidas e Nike. Poi la sera a una festa indosso tutto insieme».

    Reazione degli altri? 

    «Uguale a prima. Solo che io stavo peggio, avevo un’ansia nuova».

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    Ovvero? 

    «E se mi scoprono? La sindrome dell’impostore».

     

    Motivo?

    «Il mio desiderio era quello di sparire, mimetizzarmi. Stavo con un ragazzo, il Dario del romanzo. Ricordo le uscite con lui e i suoi amici, quando era il mio turno di parlare non sapevo mai che dire, finivo per annuire, e dare ragione a chiunque».

    Niente in comune con loro?

    «La loro maggiore ambizione era essere invitati al party di Philipp Plein, lo stilista. La gente si agitava con mesi di anticipo per ricevere l’invito».

    Perché?

    «Se lo ricevevi, salivi di categoria».

     

    Camilla lo riceve?

    «Lo riceve Dario, peccato che quell’anno il party fosse il 21 giugno, giorno del mio compleanno».

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    Scelta di lui?

    «Andare alla festa. E io a casa con due amiche».

     

    Andare insieme alla festa?

    «Non era tipo da portare la fidanzata, lui. Poi là c’erano le ragazze famose. Le più popolari di Milano, cinque per l’esattezza. Di loro io conoscevo ogni dettaglio: parrucchiere, colore preferito, occhi azzurri veri o lenti a contatto colorate».

    Camilla rispetto a quelle ragazze?

    «Le spiavo sui social per capire come sarei dovuta essere. Mi dicevo: se vuoi essere amata, devi diventare così. Per un periodo credo di essermi avvicinata molto a quel modello».

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    Felice?

    «No».

    Quindi?

    «Da un giorno all’altro smetto di provare a essere loro, e mi cambia la vita».

    Come avviene?

    «Come nel libro. Lo stesso 21 giugno che Dario va alla festa, mi arrivano gli auguri di Aimone (nel romanzo Leandro)».

     

    Aimone/Leandro, il suo fidanzato.

    «Ero andata a un suo concerto, avevamo parlato cinque minuti. Fine. Mai più visto, né sentito. A distanza di un anno lui riesce a trovarmi, e addirittura si ricorda che è il mio compleanno».

    Stato d’animo?

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    «Mi dico: tra cento persone di quella sera lui ha scelto me».

     

    Finalmente protagonista.

    «Per la prima volta nella vita mi sento speciale».

    A quel punto?

    «Inizia la storia a distanza. Io a Milano, lui a Perugia. Passa qualche mese e ci lasciamo proprio per la distanza».

    Due anni di silenzio come nel romanzo?

    «A Marta risparmio il ragazzo di mezzo, quello che ho frequentato prima di tornare da Leandro».

     

    Eppure.

    «Lì comincio a usare i social per raccontare. Trasformo la tristezza quotidiana in allegria social. Con due maschere faccio lui, e lei. Lui e lei che si parlano e non si capiscono».

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    Risposta?

    «I follower aumentano. Io, quella vestita male, non amata. Dopo una vita a cercare di essere altro, eccomi».

    Un milione e duecentomila follower.

    «Ho scritto questo romanzo per disegnare una mappa emozionale nella quale qualcuno si possa ritrovare. A venti, venticinque anni avrei tanto avuto bisogno anch’io di un fallimento comune, qualcuno che mi dicesse: è successo anche a me».

     

    Successo cosa?

    «Di rimanere indietro, di non superare un esame. Di essere tradita, lasciata. Ci sono tante persone che hanno bisogno di più tempo e di più tentativi».

    Per?

    «Per capire chi sono. Quei bambini lenti di Fast Animals and Slow Kids? Noi. Una generazione».

     

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