Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” -Estratti
Chiara Boni, quanto è stato importante l’amore per lei?
«Se la moda mi ha fatto nascere, l’amore mi ha fatto vivere. Ai miei tempi le ragazze non lavoravano, venivamo cresciute per sposarci, avendo imparato ad apparecchiare la tavola e a parlare inglese, francese, tedesco».
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Per lei, come avviene la scoperta della libertà?
«Nel 1967, a Londra. Dopo il ballo per i miei 18 anni, mamma mi lasciò andare a perfezionare l’inglese a patto che mi accompagnasse la mia tata. Fu un anno di un’apertura straordinaria. Arrivai vestita da brava ragazza di buona famiglia, ma da Biba in Abingdon Road comprai abiti mai visti: scandalosamente corti e con colori pazzeschi».
Londra è anche la città dei primi amori?
«Per intenderci, ci arrivai vergine e i ragazzi preferivano corteggiare le inglesi, che erano più disponibili. Ma fu un periodo folle, passavo le sere nei locali dove incontravo i Beatles e i Rolling Stones».
L’autobiografia «Io che nasco immaginaria», scritta con Daniela Fedi e edita da Baldini+Castoldi, è il ritratto di una ragazza che ha sovvertito i canoni di un’epoca, estetici ma anche sentimentali.
Fu chiaro già dal primo amore che sarebbe stata anticonvenzionale in tutto?
ROBERTO DAGOSTINO CON CHIARA BONI E VITTORIO SGARBI
«Al tennis club di Firenze in piscina vidi un ragazzo con occhi incredibilmente azzurri e barba e capelli lunghi. Era Vittorio Maschietto detto Titti, un sessantottino, il primo con cui avevo a che fare. Studiava architettura e aveva fondato gli Ufo, che, durante le occupazioni universitarie, invadevano le strade con missili gonfiabili. Le mie amiche lo bocciarono, io me ne innamorai. Ci sposammo, ma litigavamo di continuo».
Litigavate su che cosa?
«Per stupidaggini e perché Titti era il mio pigmalione, ma c’era competizione: io volevo evolvermi, dire la mia, e lui si attribuiva una sorta di superiorità morale. In quegli anni, io avevo fondato il mio primo marchio, You Tarzan Me Jane, mentre nel film Tarzan dice l’opposto, me Tarzan you Jane: la mia era una donna che rifiutava di farsi definire da un uomo».
ROBERTO DAGOSTINO - CHIARA BONI - VITTORIO SGARBI
Quanto era diventata rivoluzionaria per amore?
«Stampavamo il giornale di Potere Operaio, io sistemavo i caratteri in pagina e, in quell’impresa, investivo i guadagni della boutique».
Finì per dissidi politici?
«Finì perché aveva teorizzato la coppia aperta, ma siamo rimasti in ottimi rapporti, abbiamo condotto insieme un talk di Raitre, Il dilemma ».
Che cosa ne fece della libertà ritrovata?
«A Firenze, chiudo il negozio a Palazzo Corsini, che si era fatto una piccola fama, era venuta anche Veruschka, la top. Siamo a fine anni ’70. Vado a Milano e apro un negozietto con Amalia Castellina in via Bigli e le giornaliste di moda iniziano a pubblicare i miei abiti sulle riviste. Poi, subentra un socio di Carpi e lì, in provincia, capisco, carina e separata, che ero considerata una rovinafamiglie. Ci restai malissimo, ma in Sardegna rividi un corteggiatore di gioventù, Daniele Boatti, ormai sposato, e m’innamorai».
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Lasciare la moglie era nei progetti?
«Lo diceva. Ma passò Natale con lei e io a Cortina conobbi Vittorio Sgarbi. Restai affascinata dal suo modo di raccontare l’arte e lui mi rapì la sera stessa, fece aprire un museo di notte per me. Furono sei, otto mesi divertentissimi. Mi portava anche a Ro Ferrarese, a mangiare i tortellini dalla mamma».
Fu un grande amore?
«Lui non era realmente innamorato. A me piaceva molto, conservo le lettere che mi ha scritto, ma credo avesse almeno altre sette donne».
Leggenda vuole, però, che lei lo lascia e Vittorio arriva a casa sua e butta giù la porta.
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«Non è leggenda: è vero. Ma lo per fece per orgoglio: non gli piaceva essere lasciato. L’avevo mollato perché mi mancava Daniele. Dopo, ero da Chenot a Merano quando Daniele chiama e dice: ti raggiungo. Ma ha un incidente e muore. Arriva invece Vittorio, che mi fa: è finita, non posso competere con un morto».
Anche Cesare Romiti era sposato
«Ma era già stato tanti anni con Michi Gioia, non l’ho mai percepito come sposato. In ogni caso, molti pensano che la Gft comprò la mia azienda perché stavo con lui, ma è vero il contrario: lo conobbi perché ero già in Gft. All’inizio, non avevo capito che mi corteggiava. Era un uomo potente, molto più grande di me. M’innamorai del suo amore: chiamava dieci volte al giorno, mi sbarrava le date sull’agenda e diceva “questo weekend andiamo a Parigi”. Poi, Mani Pulite fu lo spartiacque del nostro amore».
Che c’entra Mani Pulite?
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«Poco prima, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, aveva denunciato l’ingerenza dei partiti nelle aziende. E quando Antonio Di Pietro chiese di parlargli, gli dicevo: vai, dagli una mano a fare pulizia. Ma ero solo ingenua. Restammo insieme altri quattro anni, ma non era più come prima».
Qual è il suo tratto distintivo in amore?
«Non lotto per i miei diritti, lotto per i miei pensieri, mai per il denaro». Lottò, invece, per riprendersi la sua azienda. «Mentre mi lasciavo con Cesare, la Gft ebbe difficoltà finanziarie, ho lottato per ricomprare la Chiara Boni. E, nel frattempo, ho fatto l’assessore in Toscana e ho conosciuto Angelo Rovati».
Il suo secondo marito.
«Per un mese, fece tutte le sere Bologna-Firenze per cenare con me. Mi ha conquistata con le attenzioni».
Lei ha fatto follie d’amore?
FRATTINI CHIARA BONI CESARE ROMITI
«Per Angelo, la follia è stata fargli da infermiera per dodici anni. Ci sposammo quando gli diedero sei mesi di vita, poi ha vissuto per altri dodici anni. Dopo la prima di otto operazioni, cacciai le infermiere e decisi che gli sarei stata vicina io. Se penso a quanto è stato male negli ultimi giorni, mi dico che, se capitasse a me, me ne andrò a morire in Svizzera».
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