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    ANCHE I RAPPER PIÙ DURI SONO "MAMMONI" - LE MADRI DI ALCUNI DEI RAPPER PIÙ FAMOSI D'ITALIA SONO UNA PRESENZA COSTANTE DEI LORO ALBUM - GHALI HA MESSO LA MADRE SULLA COPERTINA DEL SUO SINGOLO "NINNA NANNA": "ME LO ERO PROMESSO DA PICCOLO, DA QUANDO ANDAVAMO A TROVARE PAPÀ AI COLLOQUI E VI BACIAVATE MENTRE IO DISEGNAVO" - EMIS KILLA HA PERSO IL PAPÀ DA GIOVANE ED È STATO CRESCIUTO DALLA MAMMA, COSÌ COME MAHMOOD (IL PADRE L'HA ABBANDONATO) - PERSINO I PIÙ "GANGSTA" COME SIMBA LA RUE E BABY GANG…


     
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    Andrea Galli per il “Corriere della Sera”

     

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    Oh mamma mia! Che senza distinzione si parli di artisti rapper, trapper oppure del sottogenere dei «gangsta» i quali benedicono un'esistenza criminale di botte e pallottole sovente praticandola, ecco, le madri occupano (in parole) le canzoni e (in fotografie) le copertine dei brani. Dal testo di «Dettaglio» di Simba La Rue, che sempre lì torna («Compro borse di marca solo per mia mamma, non smetterò mai di ringraziarla... La miseria non mi manca, mi manca casa e il profumo di mia mamma...»), alla cover di «Ninna nanna» di Ghali, lui figlio e lei madre ritratti insieme, c'è un mondo lontano assai, per dire, da quello marcio e degenerato dei genitori-padroni che angosciano i figli sportivi.

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    O forse saremo noi di parte qui ricordando, e usandolo come incipit, un aneddoto narrato dallo stesso Ghali; un aneddoto potente sintesi di vita fra i bassi e gli alti della quotidianità, le storie di famiglia, i momenti di sentimento che si depositano nel ricordo, e nello specifico i percorsi di mamma e figlio verso il carcere. Disse dunque Ghali, pubblicamente rivolto alla madre battezzando l'uscita della canzone «Ninna nanna», che «Ti ho messo sulla copertina del mio singolo più importante perché me lo ero promesso da quando ero piccolo, da quando andavamo a trovare papà ai colloqui e vi baciavate mentre io disegnavo».

     

    LE CUFFIETTE

    emis killa e la madre emis killa e la madre

    Ingannare il tempo. Anzi no, investirci. Se nei trasferimenti sui mezzi pubblici da casa alla galera, Ghali e la mamma condividevano le cuffiette come innamorati per ascoltare musica, Rondodasosa era già da piccolo appassionato «di rap e hip hop», e ogni volta che se ne stava in macchina con la madre lei alzava il volume dei pezzi. Erano «brani di Fabri Fibra ed Emis Killa»; quel Killa, già che ci siamo, ideatore della seguente frase: «Mamma è un nome troppo comune per ciò che sei. Accomunerei le stelle ai tuoi occhi in comune ai miei».

     

    Un attimo, un attimo: ma non si starà forse esagerando con lo zucchero? No, in quanto sono origini (e a volte sviluppi) difficili, sono in prevalenza venute al mondo nelle periferie di Milano che al netto della solita propaganda richiedono vera fatica fisica di resistenza giacendo esse dimenticate e piene di malanni; sono gli ostici circuiti della migrazione, i genitori smarriti tra altri continenti e le nuove culture, e i loro figli dentro il vortice vasto e variegato delle seconde generazioni; son mamme sole, toste e tenaci. E sono temi ai quali si aggiunge il resto.

     

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    Da ragazzino Emis Killa ha avuto problemi di salute e ha perso il papà. Come, di fatto, Alessandro Mahmoud, il cui padre abbandonò tutti quando aveva 6 anni; la madre Anna portava il bimbo alle lezioni di canto e nuoto, in una felice scelta che al diretto interessato pare piacesse (parentesi obbligatoria in relazione alla tracimante abitudine dei genitori di riempire i pomeriggi dei figli di discipline che affascinano unicamente a loro, gli adulti).

     

    Per raggiungere il maestro di canto, Alessandro e Anna attraversavano la città tra l'hinterland e le abituali periferie, nelle fasce orarie di traffico e di orizzonti grigi; «ogni giorno», ha ricordato Mahmoud, «era un viaggio».

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    Ma s' andava, perché alla fine va così. Vero Gué? Niente laurea Gué Pequeno è il padre musicale di giovani rapper; è un anticipatore alla pari di Marracash. La cronaca familiare di Gué ha differenze profonde non attingendo ai casermoni popolari, alle zone-ghetto, alle insidie predatorie della strada. Ma poco se non nulla cambia. Ha detto di sé Gué che, nell'apprendere che non avrebbe proseguito l'università, sua mamma ci rimase male anche ripensando al personale tragitto (studi ugualmente mollati prima della laurea). Da allora Gué si è macerato «ragionando» sulla madre e cercando di esplorarne i pensieri, domandandosi se fosse stato giusto seguire l'istinto, oppure...

     

    Oppure tirare dritto sulla propria strada, aver fiducia nella famiglia, nel supporto che verrà. Metabolizzare, sorreggere, darsi il cambio. Ancora Gué, nel ricordare malattia e morte del papà: «Quando ha avuto problemi, poterlo aiutare pagando le sue cure è stata quasi l'unica cosa bella che potessi fare nella vita».

     

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    DIVI DA STRADA

    Dopodiché, attenzione: l'immediato futuro che ci aspetta, specie da giovani, è un ingorgo di coincidenze, fatalità, geografie a noi esterne. Lo sappiamo. Quel Marracash fra gli innovatori del panorama musicale con Pequeno, non ha mai scelto un «altro» resoconto familiare pur possedendo fertili proprietà letterarie, innamorato di romanzi fin da bimbo quando si chinava sui libri di Verne per combattere l'insonnia; passato coi genitori ad abitare da Chinatown alla non semplice Barona in seguito alla perdita del posto di lavoro del padre, nel nuovo quartiere «ti sentivi figo se avevi i genitori criminali». Marracash non li aveva.

     

    «Nei miei, vedevo tutto quello che non volevo diventare: un essere umano schiacciato dal lavoro... Mamma e papà ribadivano con insistenza che erano stupidate che mi entravano in testa per colpa dei libri, che a furia di passarci sopra le ore mi andava in confusione il cervello...».

     

    RITORNO A CASA

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    Rapido controllo ai nomi degli artisti finora comparsi. Manca qualcuno? Sicuro: mancano i protagonisti della faida dei trapper, quelli delle inchieste di luglio e ottobre, quelli capeggiati da Simba La Rue (e da Baby Gang) nel caso di una banda, e nel caso della banda rivale da Baby Touché; quelli delle coltellate, dei sequestri di persona, delle sparatorie; quelli dei nove più undici arresti, quelli che hanno genitori perbene che sgobbano in silenzio, quelli che...

     

    Quelli che «compro villa a mamma», canta Baby Gang, per gli esperti il musicista più talentuoso, per carabinieri e poliziotti il giovane delinquente più carismatico, per gli operatori sociali che l'hanno via via intercettato il figlio più bisognoso d'aiuto, per i follower il migliore in assoluto senza che segua dibattito: la mattina dell'ultimo arresto di Baby Gang, nell'apprendere la notizia, in molteplici appartamenti milanesi dentro la cerchia dei Navigli gli adolescenti hanno cominciato la mattinata discutendo coi genitori non tanto dell'azione in sé, la cattura del musicista, quanto della reiterata azione di disturbo di magistrati e forze dell'ordine nei confronti di un divo anti-sistema, forte di centinaia di migliaia di seguaci sui social.

     

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    E però: se Baby Gang in cella sembra non rinunciare all'atteggiamento da sprezzante galeotto, quel Simba La Rue suo alleato, nella lunga estate di ferimenti (fu accoltellato al nervo femorale), di un San Vittore incompatibile con le condizioni di salute, di operazioni, ebbene Simba La Rue ha mollato le arie da duro nell'apprendere commosso e sollevato la decisione del gip di dargli i domiciliari. Da mamma (e papà). Ai domiciliari proprio o quasi come Sara Ben Salha.

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    Ammaliata dai trapper «gangsta», circuita, convinta a far da esca con un avversario, presto scoperta dai carabinieri, svegliata all'alba per le manette, uscendo di casa destinata al carcere Sara aveva ceduto alle lacrime incrociando lo sguardo severo e deluso della nonna materna nel cui appartamento ora sconta i domiciliari.

     

    Anche per l'impossibilità di farlo dalla madre, gran lavoratrice sposata con un pregiudicato. Ossia il padre di Sara. Problemi suoi (del papà). Tanto l'importante, come ribadito da Baby Touché nel commentare sui social la faida, è che «nessuno di noi vuole una madre che piange».

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