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    LENTINI PAGA IL PIZZO - L'EX CALCIATORE DEL TORINO COSTRETTO A SCUCIRE ALLA 'NDRANGHETA 1000 EURO AL MESE PER IL SUO RISTORANTE - LA RIVELAZIONE DI UN PENTITO CHE HA PARLATO NEL CORSO DI UN’INDAGINE SULLE INFILTRAZIONI DELLE ‘NDRINE A CARMAGNOLA, IN PIEMONTE, CHE HA PORTATO ALL’ARRESTO DI 16 PERSONE


     
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    CARLOTTA ROCCI per repubblica.it

     

     

    lentini lentini

    A Carmagnola sono in tanti sul libro dei debitori della ‘ndrangheta. “Paga il pizzo il tabaccaio, quello del negozio di mangimi. Paga il pizzo Lentini, quello del ristorante omonimo,  l'ex giocatore di calcio”.  Lo rivela Ignazio Zito, uno dei collaboratori di giustizia che ha parlato nel corso dell’indagine coordinata dalla Dda che ha portato all’arresto di 16 persone e ha smascherato come un patto tra mafia e ‘ndrangheta avesse permesso alla criminalità organizzata di infiltrarsi nel tessuto produttivo di Carmagnola e dei comuni vicini, Tra Torinese  e Cuneese.

     

    lentini lentini

    Dalle carte dell’indagine emerge il nome di Gianluigi Lentini, ex calciatore del Toro e del Milan, grande nome degli anni ’90 a cui un’incidente d’auto ha spezzato la carriera. “A riscuotere si reca nel ristorante mio genero Fabio - continua il pentito - per conto di Franco Arone e di Tonino Bono, due dei nomi finiti nell’inchiesta su cui indagano la guardia di finanza  e i carabinieri del Ros. “Paga 1000 euro al mese”. Il prezziario, emerge dall’indagine, dipende dalla grandezza e dal successo del locale. Se gli affari vanno bene, il prezzo è più alto. “Una volta, a settembre 2017, sono andato al ristorante con mio genero, l’ho accompagnato con la mia autovettura e nel viaggio lui mi ha raccontato queste cose. Io ho aspettato in auto e quando è uscito dal ristorante mi ha mostrato una busta con 1000 euro dentro”.

    LENTINI LENTINI

     

    Il sistema raccontato da Zito valeva per tutti, dal tabaccaio al negoziante di mangimi e non era l’unica attività dell’organizzazione che divideva i suoi affari tra il traffico di droga, soprattutto cocaina, e una lucroso servizio di recupero crediti. I sistemi per reclamare i soldi erano violenti: “Lo minacciammo dicendogli che se non consegnava tutto quello che doveva gli avremmo bruciato tutta la ditta, macchinari compresi”, raccontano i collaboratori che hanno partecipato a qualcuno di questi recuperi. Quello di cui parla Zito è del luglio 2016 ai danni di un imprenditore.

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