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Carlos Passerini, Monica Colombo per il “Corriere della Sera”
Al Milan non hanno più nemmeno un numero di telefono buono. «Quello vecchio è staccato da un pezzo» racconta chi lo ha conosciuto da vicino negli anni rossoneri. Anche volendo, non saprebbero nemmeno come contattarlo, per spedirgli una maglia o invitarlo a una delle tante amichevoli delle vecchie glorie.
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Non che ci si aspetterebbe un sì: se davvero Robinho vuole scampare al carcere, non deve azzardarsi a tornare in Italia. Ma soprattutto deve sperare che il Brasile continui a negare l'estradizione: da quando la condanna per stupro di gruppo ai danni di una 23enne è stata confermata in Cassazione, su di lui pende una condanna definitiva a 9 anni firmata dalla giustizia italiana. Era la notte del 22 gennaio del 2013.
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L'attaccante, sbarcato trionfalmente al Milan nell'ultimo giorno di mercato dell'agosto del 2010 con Ibrahimovic, avrebbe abusato sessualmente di una ragazza di origini albanesi assieme ad altre cinque persone. Le violenze avvennero nel guardaroba di un locale in zona Bicocca, il Sio Café: il pm Ammendola nel processo di primo grado mise agli atti che gli uomini offrirono da bere alla giovane fino a renderla ubriaca, «incosciente e incapace di opporsi».
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Completati i tre gradi di giudizio, la Procura di Milano si appresta a chiedere l'estradizione per il giocatore: il fatto che il Brasile la vieti per i propri cittadini è di parziale consolazione; Robinho è consapevole che qualora tornasse in Italia lo aspetterebbero le manette. Di lui ora si sa pochissimo. Persino Pato, che oltre ad essere suo connazionale ha vinto con lui uno scudetto nel 2011, chiede in giro novità sull'ex compagno.
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E anche i legali italiani a cui si è rivolto preferiscono non rilasciare dichiarazioni. «Scomparso dai radar» sospirano i vecchi compagni, che pure ammettono di non averlo più cercato. Prima gli sponsor, poi i compagni, perfino gli amici: dopo quella storiaccia, tutti gli hanno voltato le spalle. Oltre alle foto postate sui social, di lui non c'è più traccia. Vive rinchiuso nella villa sul mare di Guarujá, nello Stato di San Paolo, dove ha una piscina col suo nome sul fondo e un muro zeppo di magliette che ripercorrono la carriera.
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La sua vita è cambiata, racconta chi gli sta vicino in Brasile: basta eccessi e una vita quasi normale, a fianco della moglie Vivian Guglielmetti, che conobbe da ragazzino. «L'unico errore è stato tradire lei» ha confessato il giocatore, riferendosi all'episodio del 2013. Peraltro non il primo: nel 2009, quando giocava in Inghilterra del Manchester City, era già stato accusato di violenza sessuale per un presunto stupro in una discoteca di Leeds ai danni di una studentessa. In seguito all'arresto fu però prosciolto.
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La coppia, sposata nel 2009, ha tre figli: Robson di 14 anni, Gianluca di 10 e Giulia di 6. A 38 anni, per Robinho sono lontani i tempi delle feste milanesi: a Capodanno giusto una cena con la famiglia, in casa. Solo un'immagine funzionale alla strategia processuale? La realtà non è molto differente da quella che l'ex attaccante lascia trasparire dai social, assicurano dal Brasile.
Anche perché questa vicenda gli ha cambiato la vita: quasi tutti gli sponsor lo hanno abbandonato rescindendo i contratti e anche il Santos, la sua prima e ultima squadra, non ha nascosto il grave imbarazzo quando a fine 2020 la sentenza è stata confermata in appello. Il club di Rio aveva promosso una campagna contro la violenza sulle donne finanziando il lancio di un centro di ascolto e lo scandalo ha avuto effetti opposti per l'immagine del club, accusato di ipocrisia.
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Anche perché il tema della condizione della donna è molto attuale in Brasile, dove nel 2020 si è registrato uno stupro ogni 11 minuti. La società è spaccata, divisa fra l'antico machismo che ha nel discusso presidente Bolsonaro un simbolo e le nuove generazioni che mostrano una sensibilità più moderna. Robinho, che di Bolsonaro è un fan («più lo massacravano più è cresciuto e io mi sento come lui, la verità sarà rivelata» ha detto in un messaggio vocale inviato a un amico e reso pubblico), in una delle ultime interviste spiegò che «ormai molte donne non sono neanche più donne».
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Un riferimento alla famiglia tradizionale, l'unica possibile secondo la concezione cristiano-evangelica alla quale è fedele l'ex calciatore. Il sorriso, almeno in foto, è sempre lo stesso. E riporta alla mente quando dopo ogni gol festeggiava con il pollice e il mignolo. Erano i tempi in cui di lui Pelé diceva: «La prima volta in cui l'ho visto toccare la palla ho quasi pianto, il suo dribbling è devastante. Ricorda me quando avevo la sua età». C'era una volta Robinho. Incantava San Siro, ora non gli telefonano neanche più.