Niccolò Carratelli e Alessandro Di Matteo per “La Stampa”
Piazza per la pace 4
La pace non è una sola. Almeno non in Italia, in questo sabato di novembre, a più di otto mesi dall’inizio della guerra in Ucraina. Certo non per i partiti di opposizione in Parlamento, chi in piazza a Roma e chi a Milano, con idee molto diverse su come far tacere le armi. In comune, tra le due manifestazioni, solo la condanna dell’aggressione russa e la vicinanza al popolo ucraino. Ma quando si parla delle responsabilità dello stallo dei negoziati e della strada da percorrere per una mediazione tra Putin e Zelensky, iniziano i distinguo.
Basta ascoltare i protagonisti. «La pace va costruita capendo le ragioni dell’altro, tenendo anche conto degli interessi della Russia», dice Giuseppe Conte, che per primo aveva auspicato una grande manifestazione per la pace. Oggi guiderà una folta delegazione del Movimento 5 stelle nel corteo romano, che dalle 13 sfilerà da piazza della Repubblica a San Giovanni, «senza bandiere, non vogliamo calare alcun cappello politico», assicura.
conte letta
Del resto, una manifestazione «non partitica» è anche quella milanese convocata da Carlo Calenda all’Arco della Pace, con parole d’ordine ben diverse: «Per sostenere il popolo ucraino e la sua resistenza, per ribadire che la pace non può essere la resa». Il nodo dell’invio di armi a Kiev è quello che, più di ogni altro, separa le due piazze. Anche se, nella piattaforma “Europe for peace”, in cui sono confluite centinaia di organizzazioni, associazioni e sindacati (attese più di 50mila persone), non si menziona esplicitamente la richiesta di interrompere il sostegno militare all’esercito ucraino.
Sul filo di questa (voluta) omissione si muove in precario equilibrio il Pd, unico partito che parteciperà a entrambe le manifestazioni, non ravvisando alcuna contraddizione. Dal Nazareno ostentano sicurezza: «Tra Conte, che strumentalizza una piazza, e Renzi e Calenda, che ne strumentalizzano un’altra, ci siamo noi, che non cambiamo posizione e andiamo a testa alta in entrambe le piazze».
Piazza per la pace 2
A Roma ci saranno Letta, Orlando, Provenzano, Schlein, Furfaro, Fassino, Cuperlo, Serracchiani. A Milano, dove parteciperà anche l’ex vicepresidente della Regione Lombardia Letizia Moratti, hanno aderito Cottarelli e Gori. Poi c’è chi, come l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle o Enzo Amendola, non andrà da nessuna parte. Emblematico, invece, il caso del senatore Alessandro Alfieri (degli ex renziani di Base Riformista), che cercherà di fare atto di presenza a entrambe le iniziative prendendo un aereo. Il tentativo è quello di non mostrare un Pd diviso, ma è un fatto che, dopo la sconfitta elettorale, siano riaffiorate le diverse sensibilità all’interno del partito.
CONTE LETTA
Molti da sinistra chiedono di sfumare la linea atlantista dei mesi scorsi e di non lasciare praterie a Conte nel campo pacifista. Giuseppe Provenzano è molto netto: «Senza polemiche, è giusto andare ovunque si chieda la pace, ma l’adesione formale è a Roma». Il problema, come detto, è che nella piazza romana molti saranno contro l’invio delle armi, che invece il Pd sostiene e rivendica. «Cercheremo di far comprendere che non si può dire “siamo solidali, ma non gli mandiamo più armi”, perché di fatto significa accettare l’aggressione della Russia», spiega Piero Fassino.
È alto il rischio che qualcuno contesti o fischi. «Ci siamo abituati – dice Quartapelle – Ma io avrei preferito un’unica manifestazione». Calenda ha buon gioco a evidenziare le ambiguità in casa dem: «Se la linea della manifestazione di Roma è quella di Conte, i democratici dovrebbero disertarla», avverte il leader di Azione. Il riferimento è a un’altra affermazione del presidente M5s, che dice «no alla cieca obbedienza alla Nato». Tradotto, basta fornire armi agli ucraini.
carlo calenda al senato
Sempre lì si torna. Proprio ieri il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha anticipato che, «se non cambierà la situazione, ci sarà un sesto decreto per un nuovo invio di aiuti militari». Fino al 31 dicembre il governo Meloni può procedere senza passare dal Parlamento, in virtù del decreto approvato lo scorso marzo (con foto favorevole dei 5 stelle). Nel 2023, però, per continuare a mandare armi a Kiev sarà necessario un nuovo via libera di deputati e senatori e, nel caso, il Movimento è pronto a opporsi.
Conte non lo dice esplicitamente, durante la lezione della scuola di formazione politica M5s richiama solo la necessità di una «diversa strategia». Ma a margine il capogruppo alla Camera, Francesco Silvestri, spiega a La Stampa che, «se Meloni riproporrà lo stesso schema di Draghi, non credo avremo altra scelta, anche se fossimo gli unici a votare contro». Posizione condivisa probabilmente dall’80% di quelli che oggi sfileranno a Roma. Da nessuno di quelli che manifesteranno a Milano.
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