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    ANGELA E DEMONI – IL LIBRO SU CLEOPATRA, IL RAPPORTO CON IL PADRE E QUELLO CON LA RAI. IL DIVULGATORE PIÙ AMATO DALLE ITALIANE SI RACCONTA: “FUI BOCCIATO IN QUINTA ELEMENTARE, MA NON PERCHÉ NON STUDIAVO. ERA UNA SCUOLA MOLTA RIGIDA. CON MIO PADRE C’È UN RAPPORTO TRA COLLEGHI, NON LO CHIAMO PAPÀ” – “LE AMMIRATRICI? NON COMMENTO. SONO COME IL NATURALISTA NELLA SAVANA CHE GUARDA CON IL BINOCOLO”


     
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    Elvira Serra per il “Corriere della Sera”

     

    ALBERTO ANGELA CLEOPATRA ALBERTO ANGELA CLEOPATRA

    Guai a lasciargli il vantaggio della prima domanda. «Cosa pensa del libro?», fa lui. La risposta - «Non so se Cleopatra mi ha convinta: era manipolatrice, opportunista, ambigua» - lo spinge a una premessa: «Mai guardare al passato con gli occhi del presente».

     

    Segue un' arringa di diciannove minuti e quaranta secondi in cui Alberto Angela difende la modernità della donna alla quale ha dedicato l' ultima fatica letteraria ( Cleopatra. La Regina che sfidò Roma e conquistò l' eternità , HarperCollins, in libreria da giovedì). «È stata una grande statista, non era egoista, ha agito per il regno, si è unita all' uomo più forte del momento, ma sia con Cesare che con Antonio è stato anche amore».

     

    Oggi chi potrebbe assomigliarle?

    «Nessuna. Cleopatra è stata unica nell' arco della storia, parlava le lingue, scriveva saggi, leggeva. È incredibile come sia riuscita a essere sovrana lungimirante, condottiera, statista, madre, in una società maschilista. È una donna moderna, messa in una società antica. Oggi sarebbe potuta essere una manager di successo, leader delle finanze o dell' industria».

     

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    Mi arrendo, viva Cleopatra. Quanto tempo ha impiegato per scrivere il libro?

    «Pochissimo, due mesi e mezzo, tre. Nel frattempo giravo Ulisse , scrivevo di notte a casa, in viaggio tra una ripresa e l' altra».

     

    Parliamo di un' altra donna, sua mamma. Tutti inevitabilmente le chiediamo di suo padre Piero, ma cosa pensa di aver ereditato da sua madre Margherita, cui peraltro somiglia?

    «A parte il Dna, sia lei che mio padre mi hanno dato la stessa cosa: l' apertura mentale, la voglia di esplorare il mondo, facevamo viaggi con gli zaini. Mi viene in mente un clima famigliare aperto alla conoscenza e alla scoperta: ho sempre respirato questo in casa».

     

    Da piccolo è finito undici volte all' ospedale.

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    «Ero molto attivo... Una volta un' infermiera disse: "Ma io ti ho fatto da poco l' antitetanica, cosa ci fai di nuovo qui?"».

     

    È stato bocciato in quinta elementare.

    «Attenzione. Era una scuola molto rigida, non è che sono stato bocciato perché non studiavo. Era stato molto complicato, avevo fatto un esame e sono stato bocciato per un punto».

     

    Sul lavoro chiama suo padre per nome.

    «Da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme, tra noi c' è un rapporto tra colleghi, troverei fuori posto chiamarlo papà».

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    Ma la domenica lo chiama papà o Piero?

    «Dipende. Però quando si lavora in un settore come quello del giornalismo scientifico e della divulgazione, scopri che la scienza unisce le generazioni: un anziano, un giovane, uno di età media parlano la stessa lingua».

     

    All' inizio suo padre diceva che avevate spesso battibecchi perché lei era precisino.

    «Trent' anni fa scrivemmo insieme La straordinaria storia dell' uomo : lui descriveva l' evoluzione con approccio giornalistico, io ci arrivavo con un approccio più da ricercatore, avevo ancora addosso la polvere dello scavo».

     

    A ottobre è andata in onda la puntata di Ulisse dedicata al rastrellamento nel quartiere ebraico di Roma. Suo nonno Carlo è un «giusto tra le nazioni». Quasi la chiusura di un cerchio, non crede?

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    «È stato assolutamente casuale che mio nonno si sia impegnato per salvare la vita a tanti ebrei. Io volevo che si sapesse quello che è successo. Quando mi è stato chiesto di trasferire Ulisse da Rai3 a Rai1 mi è sembrata una missione coraggiosa: non c' è tv pubblica ammiraglia in Europa che il sabato sera metta un programma culturale.

     

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    Abbiamo lasciato stare la logica degli ascolti. Milioni di persone sono morte e abbiamo il dovere di ricordarlo, perché ci possono aiutare a salvare i nostri figli».

     

    A proposito di figli, dedica «Cleopatra» ai suoi: Riccardo, Edoardo e Alessandro.

    «E a tutti i ragazzi che hanno il futuro negli occhi e le nostre speranze nel cuore».

     

    Da poco c' è stata un' attenzione esagerata sui social per Edoardo. Le è dispiaciuto?

    «Mi è spiaciuto come potrebbe dispiacere a lei, ha figli? Mi dispiace perché lui non è qualcuno che vuole esporsi, è una persona normale. Lì è il mondo che bussa alla porta, è un effetto collaterale dell' epoca in cui viviamo».

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    Su Instagram ho contato più di trenta profili con il nome e cognome di suo figlio.

    «Erano quaranta. Sono andato dalla polizia postale, è partita un' azione legale. Questo si chiama furto di identità ed è un reato».

     

    Chiudiamo il capitolo social. Lei ha tantissime ammiratrici, alcune molto divertenti. Su Twitter, @FarinaAV ha scritto: «Qualsiasi donna vorrebbe sentirsi sussurrare all' orecchio "peristilio" da #AlbertoAngela». Ma c' è anche una pagina Facebook dedicata alla sua virilità, forse meno simpatica. Cosa dice?

    «Io non commento. Il Web è quello che è, e questo è uno dei suoi volti. Sui social viaggia molta emotività. Lascio agli altri commentare queste cose, perché mi sembra tutto molto evidente. Sono come il naturalista nella savana che guarda con il binocolo: non deve intervenire e giudicare, osserva e basta. Però in tutto questo c' è una cosa che non si dice mai».

    alberto edoardo angela alberto edoardo angela

     

    Diciamola.

    «Io sono molto diverso dai miei colleghi, sono un ricercatore prestato alla televisione. Per dieci anni ero nei luoghi dove si fanno documentari, dentro le tende in mezzo al Serengeti, con i leoni. Non faccio tivù per apparire sui rotocalchi, ma per condividere il piacere pazzesco di scoprire cose che non sapevi prima».

     

    Ha assicurato le sue mani?

    «No, ma credo che dovrebbero assicurarle tutti gli italiani, anche lei: sono la punteggiatura dei suoi pensieri».

     

    Ha avuto un sacco di disavventure: con gli ippopotami, sulle sabbie mobili, il terremoto in Cile... Scelga la più bella.

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    «Non so scegliere. Chi viaggia si espone a dei rischi, solo se stai sempre a casa non ti capiterà mai niente, tranne un libro che ti casca in testa perché lo scaffale è messo male».

     

    Quale esperienza l' ha emozionata di più?

    «Tante: il volo in assenza di gravità simulata. La bellezza vera è stata descrivere questa emozione in diretta. Peccato che alla fine, quando ho cominciato a fare piroette, l' operatore avesse finito il nastro».

     

    Un' altra emozione forte?

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    «Il decollo dello Shuttle. Quando ci hanno assegnato il posto nell' area stampa, a cinque chilometri dal punto del lancio, non capivo perché fossimo così lontani. Poi 3-2-1, decolla e non senti niente, vedi il fumo che si alza, lo shuttle che si inclina, la fiamma che è paragonabile a quella ossidrica, non riesci a guardarla. E il suono violento, quasi un fuoco d' artificio e tu lo senti qua (si batte il petto, ndr ). Mio padre, che aveva assistito al decollo del Saturno 5, lo aveva descritto come un lenzuolo che si strappa. Poi ti accorgi che sono partiti gli allarmi delle auto e quando vai al press office vedi i quadri storti: l' edificio è stato scosso».

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    Cosa le insegnano questi momenti?

    «Penso all' esperienza dell' aurora boreale alle isole Lofoten, una bandiera gigantesca che si muove sulla tua testa e non capisci a quale velocità. Lì ho avuto precisa la percezione della potenza dell' universo: ti ridimensiona molto».

     

    Nel 2002 fu aggredito in Niger, rischiò davvero di essere ucciso.

    «Un episodio così ti aiuta a vedere le cose importanti della vita».

     

    Quali sono?

    «Quelle piccole: un caffè con un amico, un abbraccio, il sorriso di uno sconosciuto. Scordatevi la carriera o i grandi traguardi».

     

    Le portarono via anche la fede nuziale. L' ha ricomprata?

    «Certo».

     

    alberto e piero angela alberto e piero angela

    Ora non la porta.

    «È una questione pratica».

     

    Incontri memorabili?

    «Tanti. Mi viene in mente un tassista di Dar es Salaam, in Tanzania, nel 1988. La sua auto non aveva vetri, i pedali entravano nel motore, c' era una panca da parco al posto del sedile posteriore, lui era vestito in modo approssimativo. Parlammo in inglese, anche se conosco lo swahili, dissi che venivo dall' Italia. E lui: sono stato a Napoli e a Venezia. E poi aggiunse New York, Hong Kong, una serie di città. Ma scusa, come hai fatto? E lui: mi imbarco come mozzo. Qui capisci che l' indole è nel Dna».

     

    Di cosa è goloso?

    «Odio la nouvelle cuisine , non voglio mangiare sperimenti. Sono molto tradizionale».

     

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    Che musica ascolta?

    «È come per le vacanze, non sono fissato con un posto. Vado dal blues al jazz al rock».

     

    Chi le piace rock?

    «Bruce Springsteen, Born in the Usa ».

     

    Lo ha mai conosciuto?

    «No, è difficile da raggiungere uno così».

     

    Anche per lei?

    «Si ricordi che sono un ricercatore».

     

    Non è un dipendente Rai, giusto?

    «No, e io e mio padre non abbiamo una società di produzione, non ho mai capito perché la gente lo pensi. Abbiamo contratti a termine che vengono rinnovati a seconda dei risultati, ogni 2-3-4 anni. Per un anno e mezzo sono anche rimasto fuori».

     

    E nessuno l' ha corteggiata?

    «Tutti. Ma aspettavo la proposta della Rai».

     

    Perché è così importante lavorare in Rai?

    alberto angela alberto angela

    «Perché la divulgazione va fatta nella rete pubblica nazionale».

     

    Cos' ha in comune con Tom Hanks, Harrison Ford, Jodie Foster?

    «Sicuramente non il conto in banca».

     

    È sua, e loro, la voce narrante di un video dedicato all' esplorazione dell' universo nel Museo di Storia naturale di New York.

    «Ho prestato la voce anche per il film dei Minions».

     

    E i suoi figli in quale versione l' apprezzano di più?

    «Come voce narrante in casa».

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