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    ARTSPIA - VENTIQUATTRO GIORNI E POI... AL MART SCOPPIA LA GUERRA. UNA MOSTRA TOTALE CHE DAL PRIMO CONFLITTO MONDIALE ARRIVA FINO A NOI: VIDEO, INSTALLAZIONI, FILM, TESTI DI SCRITTORI E POETI. COME QUESTO DI MARCELLO FOIS. IN ANTEPRIMA PER DAGO-ART


     
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    02.Camilla de Maffei, The visible mountain. Sarajevo, 2013-2 02.Camilla de Maffei, The visible mountain. Sarajevo, 2013-2

    Alessandra Mammì per Dago-art

     

    Count down. Mancano 24 giorni alla mostra del Mart che già si candida ad essere la più potente e più complessa dell'autunno, coronata dal “Più bel titolo dell'anno” premio vinto  a mani basse, sia pure rubando un verso a Bertolt Brecht: “La guerra che verrà/ non è la prima”.

    Stampato su rosa e verde antico, Brecht introduce la mostra che parte dalle celebrazioni della Grande Guerra ma ne supera date e consuetidini. Prepariamoci a un'immersione totale in "un'arte della guerra" che non è solo celebrativa, non è solo storica, non è solo simbolica, non è solo realistica, non è solo immaginata, non è solo contemporanea: ma è tutte queste cose insieme.

    La guerra che abbiamo studiato, la guerra che ci hanno raccontato, la guerra che abbiamo visto nei film e nelle foto, la guerra che temiamo e che sentiamo intorno tutti noi, figli di un'epoca che avuto la pace più lunga dai tempi di Augusto imperatore, ma che l'odore e la polvere di guerra li portiamo nel corpo e nel cuore con il Dna e le storie dei nonni.

    E' questa la guerra Tra il Museo di Rovereto, la Casa d'Arte Futurista, la galleria civica a Trento, articolata in tappe, sedi e stazioni, con sprezzo di fatica e pericolo Cristiana Collu (qui in veste di direttrice e curatrice) mette in scena dal 4 ottobre 2014 fino al 20 settembre 2015  (per indirizzi, date e dettagli vedi http://www.mart.trento.it/guerra). Una di quelle mostre-monstre, costate tempo e fatiche muscolari che stupiscono quando sono sostenute da un tanto fisicamente esile direttore.

    Le apparenze ingannanno. La Collu è uno stelo d'acciaio che già mise alla prova i visitatori della “Magnifica ossessione”: percorso espositivo lungo un chilometro e fitto di disegni/ dipinti/ oggetti/ progetti/ filmati/ foto. Una “magnifica” (di nome e di fatto) quadreria d'altri tempi che sfidava qualsiasi library digitale. E sfidando, vinceva. Come probabilmente vincerà questa guerra con il potente esercito di opere grandi e piccole, documenti, testimonianze, artisti noti e ignoti, defunti e vivissimi, italiani e stranieri. Storia infinita di soldati, donne, bambini, armi ed eroi.... vita e morte, insomma.

    Martha Rosler, Point and Shoot, 2008 Martha Rosler, Point and Shoot, 2008

    Vedremo Depero e tutto il futurismo bellico e con lui artisti testimoni della guerra da Max Beckmann a Chagall, filmati dei registi d'epoca (Segundo de Chòmon come Abel Gance), le immagini di chi invece vive oggi accanto alla guerra (Adi Nes), i simboli di coloro che la traducono in eterno incubo (un esempio per tutti.la straordinaria Berlinde de Bruyère). Vedremo la guerra lontana tessuta dalle donnne afgane e trasformata in tappeti e la potenza mediatica della guerra commentata dalle artiste militanti ( Martha Rosler). Ne capiremo meglio il senso accompagnati dai pensieri di filosofi, storici dell'arte poeti e scrittori,raccolti nel volume che accompagna la mostra (ed. Electa) Ricorderemo la Grande Guerra e conteremo le altre guerre comprese quelle che ci sono davvero vicine. E infine declineremo insieme agli artisti tutti i sentimenti di cui difronte ad ogni guerra un uomo è capace: orrore, pietà, paura, dolore, coraggio. Perchè “La guerra che verrà, non è la prima”.

     

    Anteprima : dal catalogo della mostra “ La guerra che verrà” due brani da Marcello Fois “7 Militi Ignoti”

    VI — Caporetto 

    paolo ventura paolo ventura

    Era stato come sfinirsi per ostinazione. Vegliare, per una consegna, lavorar di pialla, o di scalpello, tutta la notte. Spegnersi gli occhi a furia di concentrazione. Tutto pareva di un silenzio irreale considerato che gli austriaci erano a non più di duecento metri lineari, sepolti esattamente come noi, come noi affamati, come noi ostinati.

    Potevamo sentirli ruttare o piangere come quando, un anno prima, gli era stata data la notizia che il loro imperatore, Francesco Giuseppe, era morto. Nel suo letto al castello di Schönbrunn, non certo in trincea. Eppure smettemmo di combattere, senza che nessuno ce l’ordinasse, non sparammo nemmeno un colpo quel giorno di novembre del 1916.

    Eppure questa guerra pare un infinito non finire. Siamo uno di fronte all’altro come due avversari di cui si tema il movimento più che la potenza. Ma, il punto vero, è che non si fa nient’altro che pensare a come sarà il momento esatto in cui una pallottola ti trapasserà il cranio, o una scheggia di granata ti mozzerà un arto. O uno spostamento d’aria ti farà scoppiare i timpani, o un’esalazione mefitica ti farà vomitare bile fino a quando non avrai neanche più la forza per respirare. O un attacco all’arma bianca ti trasformerà in un sacco per baionette. La resa non era compresa tra i vari modi per morire. Eppure morimmo. Senza nemmeno avere l’opportunità di rispondere: “Merde!” al nemico che ci stava di fronte.

     

    17. Anselmo Bucci in divisa da V.C.A., 1915 17. Anselmo Bucci in divisa da V.C.A., 1915

    VII — Piave

    Come arrendersi al sonno, era stato. E nel sonno ricordare tutto...

    Ricordarono di quando i raccolti sembravano oceani, infiniti mari fluttuanti contro il sole a picco. Ricordarono giganti curvi, trapassati dai raggi roventi, che tracciavano scie fra le spighe a furia di falci. Ricordarono le squame cangianti dei pesci in qualunque ruscello, o lago, o fiume, li avessero pescati, e la roccia, o sabbia, o manto erboso su cui li avevano scaraventati ad agonizzare nell’aria. Poi si ricordarono della partenza da casa, degli occhi umidi di ogni madre che li aveva accompagnati fino al convoglio, o al carro, o al basti- mento...

    Tutto, ricordarono, con minuzia, anche i secondi, i minuti, l’afasia che precedeva lo scoppio, come una tosse trattenuta. E l’incredulo sciogliersi di ogni certezza, come il divincolarsi di un topo in trappola. Poi, ancora l’o- dore sudoroso del terreno smosso, come se il suolo restituisse sangue dopo averne ingoiato a litri. Tutto ricordarono, tutto. Il mese e l’anno, il Municipio in cui erano stati registrati, la chiesa in cui erano stati battezzati, la donna che li aveva baciati, e persino quella che non aveva voluto ricambiarli. La maestra che li aveva puniti, il parroco o il pastore che li aveva redarguiti, l’amico che gli aveva sorriso e persino quello che li aveva traditi.

    I pianti ricordarono, l’odore di pane caldo e latte, la consistenza del pudding, il vino bollente con chiodi di garofano, la grappa per il mal di denti, e il fegato ancora caldo del maiale appena macellato, la lana svelta dalla groppa della pecora a furia di cesoie, e la consistenza viscosa dei capezzoli della vacca.

    Ricordarono che era arrivato il momento di lavare l’onore dei padri trucidati sull’Amba Alagi.

    Tutto, tutto, tutto ricordarono... ...tranne il nome.


     

     

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