Edoardo Semmola per www.corriere.it
antonella boralevi
«Non posso dire di aver proprio “inventato” io la crisi del maschio moderno. Però posso dire di averla anticipata, almeno come tema di dibattito».
Nei suoi libri ci sono sempre donne molto forti e determinate, Antonella Boralevi. Ma da qui ad aver «ucciso» la virilità, ce ne passa di acqua sotto i ponti…
«Non mi riferivo tanto ai romanzi, quanto al lavoro in televisione. Anche se ho voluto portare sullo schermo la mia natura di scrittrice. Pensavo a quando, nel 1994, ho inventato un talk show di approfondimento dedicato ai temi “dell’anima” che all’epoca non esisteva. Si chiamava Uomini, su Rai2. E trenta anni fa gli uomini non parlavano quasi mai dei propri sentimenti più intimi. Era considerata una cosa troppo femminile».
luciano pavarotti e il cibo 12
Con lei gli uomini si aprivano?
«In una puntata Luciano Pavarotti mi raccontò che non voleva più stare con sua moglie (Adua Veroni, la prima moglie), in un’altra Maurizio Costanzo mi disse che avrebbe voluto un figlio da Maria De Filippi... e lo disse prima a me che a lei. Se faccio la scrittrice è perché credo negli altri, nei sentimenti degli altri. È quello che voglio raccontare».
Nel suo ultimo romanzo, «Magnifica creatura» (La Nave di Teseo) le due sorelle protagoniste sono figure emblematiche rispetto a questo ragionamento: c’è il rapporto tra loro, quello con gli uomini, il loro ruolo nella società… Ma è ambientato oltre mezzo secolo fa. Oggi il mondo è cambiato.
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«La mia materia di studio è il cuore umano, da sempre. Sono profondamente interessata alle relazioni, ai sentimenti, soprattutto a quelli che non si dicono, a quella parte di emozioni che spesso teniamo segreta anche a noi stessi. Credo in quello che sosteneva il filosofo Epitteto: che il carattere di una persona ne è il destino. Questo vale per me, forse vale per tutti, sicuramente vale per i miei personaggi. Sentimenti ed emozioni cambiano in funzione di te stesso e non dell’epoca in cui hai vissuto. Ciò che cambia è la storia. E arriva il momento nella vita in cui la storia ti batte sulla spalla e ti costringe a cambiare, è il momento in cui ti ci devi confrontare. Senti le stesse cose di prima ma reagisci e agisci in modo differente. Negli anni Cinquanta e Sessanta alle donne veniva assegnato un solo destino, il matrimonio. Ma era un’Italia che credeva nei sogni e i sogni si potevano. Oggi veniamo messi alla prova diversamente».
antonella boralevi foto riccardo schito
Il tema di fondo è: credete in voi stessi. E lo è in tutti i suoi libri.
«Il saper tirare fuori la Magnifica creatura che hai dentro. Per questo ho scelto questo titolo».
Quand’è che Antonella Boralevi ha iniziato a credere in se stessa?
«Ricordo bene quel giorno. Avevo dieci anni, stavo giocando una partita di tennis alle Cascine. E stavo perdendo 5-0 il primo set. Durante il cambio campo passo davanti alla panchina dove sedevano mio padre e il padre della mia avversaria. Sento quest’ultimo dire a sua figlia una frase tipo “ormai te la sei mangiata” e ho incrociato lo sguardo con il mio di genitore. Mi guarda fisso ed è come se gli leggessi nella mente queste parole: “Ma davvero tu glie la vuoi dare vinta”? Lì ho capito. Ci ho creduto. E non solo ho rimontato quel set fino a vincere per 7-5, ma ho anche vinto gli altri due set per 6-0 e 6-0. Perché ho sentito che lui credeva in me e quindi anch’io potevo credere in me».
maria de filippi maurizio costanzo
Con un’immagine del genere in testa, il tennis sarà diventato importantissimo nella sua vita...
«Eccome. E infatti ci gioco ancora, anche se molto saltuariamente, per piacere e basta. Vado anche a sciare e, in mare, a vela. Ma considero queste attività solo un modo di stare bene tra amici».
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E quando ha capito che sarebbe diventata una scrittrice?
«Ho sempre pensavo e immaginato di voler scrivere. Quando ero in quinta elementare, e passai dalla scuola privata a quella pubblica, fu un anno terribile, sembravo destinata alla bocciatura. Poi un giorno la maestra dette un tema sui ricordi dell’estate, e quello che scrissi mi catapultò di colpo da essere la reietta della classe all’alunna il cui tema veniva letto in tutte le sezioni. Una specie di modello per tutti gli altri. Raccontai la mia estate al Forte dei Marmi concludendo con la frase “e il mare continuò a bagnare i ciottoli sulla sabbia”. Fu allora che capii che scrivere era la mia natura. Ma i miei figli, che ho avuto molto giovane, ancora oggi mi chiedono di sintetizzare i concetti».
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Aveva le idee chiare fin da piccola…
«Appena laureata in filosofia del linguaggio, una disciplina nuovissima dentro il corso di Storia della lingua italiana, il professor Giovanni Nencioni mi dette la possibilità di entrare a far parte di un gruppo di ricerca alla Normale di Pisa. Ma nel frattempo facevo la hostess a Pitti e per questo vedevo le sfilate in anteprima. Una sera mi venne di scrivere un pezzo su una di queste sfilate e andai a lasciarlo all’albergo dove sapevo che erano ospitati tutti i giornalisti. Una di loro, dopo averlo letto, mi fece una proposta di collaborazione. Quando mi trovai alla Normale e mi sedetti davanti al professor Nencioni gli dissi col cuore in gola: lascio la Scuola, voglio fare la giornalista».
Antonella Boralevi
Come reagì?
«Ricordo ancora la luce che lo illuminava da destra e la sua faccia. Era così bello, alto, elegante... mi guarda e dice: “Ah, ti hanno chiamato al Corriere della Sera?” Io riuscivo a fissare solo il suo calamaio, non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Presi forza e risposi: “No, alla rivista dei calzaturieri di Santa Croce sull’Arno”. Il mio primo pezzo si intitolava Ritrovata a Certaldo la scarpa del Boccaccio?».
Ha avuto un bel coraggio.
«Quando decisi che volevo fare la giornalista sul serio, presi un appuntamento con il direttore di un giornale fiorentino. Il colloquio avvenne in una stanza in cui c’erano lui, il critico teatrale e una delle principali firme di prima pagina. Erano tre uomini di 50 anni. E io ne avevo 22. Rappresentavano l’establishment del giornalismo fiorentino. Ci rimango un po’ spiazzata dall’idea di incontrare tre persone, non faccio neanche in tempo a mettermi a sedere e il direttore dice agli altri due: “Eccola quella che vuol fare la giornalista, ah ah ah”. Ride eh. Ride. A quel punto dimostrare che quell’umiliazione sarebbe stata l’inizio di qualcosa di importante divenne il mio cruccio».
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Qual è stato il momento in cui, guardandosi indietro, ha detto: non sono mai stata così tanto coraggiosa?
«Quando ho aspettato per tre giorni di essere ricevuta da Giovanni Minoli in un corridoio della Rai, per avere la possibilità di fare Uomini. Aspettai tutta una mattina, un intero pomeriggio, poi un’altra mattina, un altro pomeriggio... Finché a un certo punto mi ha aperto la porta. Disse di aver pensato “questa deve avere davvero qualcosa da dirmi, sennò non sarebbe così caparbia”».
E il momento in cui guardandosi indietro ha pensato: non sono mai stata così tanto codarda?
«Non è mai successo. Mai avuto un momento di debolezza. Mi sono sempre presa tutti i rischi».
E il momento in cui ha pensato di essersi illusa?
«Gli uomini non mi hanno mai illusa. Ma alcune donne sì: sembravano amiche ma erano in grado di farmi davvero male, nella carriera. E lo hanno fatto. Ricordo una redattrice che di punto in bianco smise di pubblicare le mie interviste, e alla quarta volta andai a protestare dal direttore. Per dimostrargli che questa persona mi stava boicottando, che voleva distruggere la mia reputazione».
maurizio costanzo e maria de filippi
Gli uomini non l’hanno mai illusa, ma l’amore?
«La parola amore non la considero “neutrale”, ed è troppo abusata in quest’ultimo ventennio, la adoperiamo per mascherare ogni tipo di bassezza, dall’omicidio al tradimento dei principi e della fiducia. Non ho mai avuto delusioni d’amore, casomai delle aperture mentali: mi hanno fatto capire che in una relazione il rapporto non è con l’altro ma con te stessa».
marta russo
Scelga un anno, nel corso della sua vita, che per qualche motivo considera uno spartiacque.
«Quando sono venuta a vivere a Milano, lasciando Rai 2 per andare a Rete 4, che allora era solo il canale delle telenovelas e volevano farla diventare una rete di approfondimento con il programma Linee d’ombra, un talk show sui temi del perdono, della malattia, della solitudine, dell’amore e del tradimento, in cui si parlava di padri e di figli, di adozioni, dove sono venuti la mamma di Marta Russo e l’uomo che portava il suo cuore nel petto. Siamo alla fine degli anni Novanta e scoprii che la vita milanese era molto diversa da quella fiorentina. Perché quando lavoravo in Rai a Roma rimanevo comunque a vivere a Firenze. Poi, non fu più possibile».