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    COME E' DIFFICILE RINUNCIARE AL TELE-DIVISMO! - ANCHE ANTONELLA VIOLA SI SCHIERA CONTRO LA REGOLA CHE PREVEDE I VIROLOGI IN TV SOLO SE AUTORIZZATI: "CI SONO DEI COLLEGHI CHE HANNO DETTO STUPIDAGGINI ALL’INIZIO, E GRAVI, STUPIDAGGINI PESANTI: IL COVID È UNA BANALE INFLUENZA; IL VIRUS È CLINICAMENTE MORTO...OGGI PERÒ SPESSO LE POSIZIONI DIVERSE NON SONO SCIENTIFICHE, SONO PIÙ OPINIONI. E FORSE SERVONO ANCHE LE OPINIONI DEGLI SCIENZIATI SULLA SOCIETÀ PERCHÉ SIAMO PERSONE DI INTELLIGENZA MEDIO ALTA" (AH, IL NARCISISMO! AVEVA RAGIONE ANTONIO RICCI: LA TV UCCIDE LE MIGLIORI MENTI)


     
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    Ruggiero Corcella per www.corriere.it

     

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    Professoressa Viola siete di nuovo finiti sulla graticola?

    «Sì e non si capisce il motivo francamente. Non mi sembra che questo sia il problema che deve affrontare il Paese in questo momento, quello di preoccuparsi della libertà di espressione del mondo scientifico, no? Il momento proprio non si riesce a comprendere, anche perché siamo abbastanza in una buona situazione, fuori dall’emergenza, la campagna di vaccinazione sta andando molto bene. Per cui è strana questa posizione in questo momento».

     

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    Antonella Viola, ordinario di Patologia generale presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e direttrice scientifica dell’Istituto di Ricerca Pediatrica (IRP - Città della Speranza), è uno dei volti - e dei sorrisi - più noti tra gli esperti che hanno accompagnato gli italiani in questi diciotto mesi di pandemia.

     

    Cerchiamo di capire meglio: nel vostro ambiente di lavoro esistono «regole di ingaggio» per quanto riguarda il parlare con il pubblico o con la stampa?

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    «Io sono una biologa quindi al limite per me il problema è l’università. Sono un ordinario di Patologia alla scuola di Medicina di Padova. C’è la massima libertà, siamo degli accademici, facciamo ricerca, facciamo della libertà il nostro vessillo, quindi non c’è nessuna regola di ingaggio. Siamo liberi di esprimerci, liberi di parlare.

     

    Naturalmente se mi mettessi a insultare il ministro della Salute Roberto Speranza in televisione ne risponderei io personalmente, non l’università. Penso a me e ad Andrea Crisanti: siamo colleghi ordinari qui alla scuola di Medicina di Padova e nessuno ci ha mai detto cosa si può o non si può dire.

     

    Abbiamo avuto anche dei modi diversi di comunicare, non cose diverse nella sostanza: lui ha parlato di più anche dell’operato della Regione, si è scontrato di più con il governatore Luca Zaia, è stato polemico. Io ho sempre evitato questi argomenti, ma nessuno è mai venuto a dire né a me né immagino ad Andrea quello che si può e quello che non si può dire».

     

    In questi diciotto mesi però, la polemica sulla «spettacolarizzazione» degli aspetti scientifici è emersa più volte: momenti sbagliati anche quelli?

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    «Sì, però credo che qui ci sia anche da fare un altro discorso. Come in tutti i tipi di mestieri, anche nel nostro c’è la persona che ha sensibilità, eleganza, gusto e quella che invece cerca la visibilità e lo fa magari esagerando. Ci sono cioè dei colleghi che hanno detto stupidaggini all’inizio, e gravi, stupidaggini pesanti: il Covid è una banale influenza; il virus è clinicamente morto. Ma i mezzi di comunicazione?

     

    Dovrebbe esserci una selezione della credibilità di una persona sulla base delle affermazioni che sono state fatte. Purtroppo questo non è successo. I giornali invece di andare a scegliere chi nel tempo ha dato sempre delle informazioni credibili, ha avuto delle posizioni equilibrate, le cui affermazioni si sono dimostrate poi nei fatti, ha cercato continuamente lo scontro e appunto lo spettacolo.

     

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    Questo è il vero problema: non si è fatta informazione, si è fatto spettacolo. Ovviamente ci sono delle testate, dei programmi che hanno scelto tra gli scienziati che sono stati più affidabili, che hanno sbagliato di meno, meno polemici e meno litigiosi. Ma in generale, si è preferito lo spettacolo».

     

    Il confronto è comunque importante: si è forse fatta confusione invece tra i diversi contesti nel quale deve svolgersi?

    «Qui ci sono due temi: uno è il confronto scientifico nel senso proprio di scienza. Il confronto scientifico nei termini di scienza certamente lo dobbiamo fare tra di noi e lo dobbiamo fare nel nostro ambiente. Però questo nella prima parte della pandemia non è stato possibile, perché appunto ci veniva richiesto di commentare quello che accadeva lì, in diretta. Quindi non c’è stato molto tempo. Certo qualcuno di noi lo ha fatto. Io per esempio non sono mai andata a parlare, soprattutto nei primi periodi, della pandemia senza prima confrontarmi con quattro o cinque persone che stimo e con le quali condividevamo un percorso.

     

    Quindi c’è stato almeno da parte di alcuni noi, almeno parte mia senz’altro, questo tipo di atteggiamento. Oggi però spesso le posizioni diverse non sono scientifiche, sono più di interpretazione delle regole, di gestione sociale politica della post- emergenza che stiamo vivendo in questo momento. Quindi sono opinioni.

     

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    Questa forse è la cosa più difficile da far capire alle persone. C’è una differenza quando Antonella Viola parla di efficienza dei vaccini, sicurezza dei vaccini, memoria immunologica: queste non sono opinioni perché sta parlando una scienziata che si occupa di questo da tutta la vita e rappresenta la scienza. Quando Antonella Viola dice: il green pass per me è giusto, o dice forse l’obbligo vaccinale sarebbe addirittura meglio, o dice secondo me possiamo gestire la scuola in maniera diversa, questa è una mia opinione personale».

     

    Tenere separate le opinioni dai fatti, però, non dovrebbe essere il “faro”, soltanto dei giornalisti: non pensa?

    «Certo ma è ovvio che nel momento in cui siamo chiamati a parlare di gestione della pandemia e non solo del dato scientifico ci prestiamo anche noi a dare le nostre opinioni. All’inizio della pandemia mi rifiutavo di fare l’opinionista. Dicevo no, io sono una scienziata, devo dire solo le cose assolutamente vere, dimostrate e provate.

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    Poi mi sono trovata a vedere che in queste trasmissioni o sui giornali chiunque parlava di scienza: c’erano il filosofo, l’economista e il professore di storia dell’arte. Chiunque si sentiva in grado di discutere di qualunque argomento tranne noi scienziati che invece saremmo dovuti restare in questo nostro angolino a guardare solo i numeri.

     

    A quel punto mi sono resa conto che forse era arrivato il momento di fare anche un cambio di passo e di dire: forse servono anche le opinioni degli scienziati sulla società perché tutto sommato anche noi siamo parte di questa società, siamo persone di intelligenza medio alta, si suppone, e abbiamo una visione del mondo che finora non è stata portata nel mondo perché siamo sempre stati chiusi a guardare i nostri numeri. Quello è stato il cambiamento dal mio punto di vista.

     

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    È ovvio però che è diverso nel senso che Antonella Viola quando parla di vaccini sa di non poter essere contraddetta, cioè io non accetto il contraddittorio sulla scienza, non parlo con un no-vax che mi dice stupidaggini. È ovvio che quando Antonella Viola parla delle sue opinioni appunto posso essere tranquillamente contestata, perché la mia opinione vale tanto quanto quella dell’economista, del giurista e così via».

     

    Come andrà a finire questa storia?

    «È fuori tempo, fuori contesto, ma poi in un paese come l’Italia in cui c’è libertà di espressione veramente sembra una posizione inaccettabile».

     

     

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