ANTONIO BINI
Andrea Galli per il “Corriere della Sera”
Forse non ci crede nemmeno lui, Antonio Bini: del gigantesco corpo da culturista ha fatto mostra di una piccola parte, ovvero un dito leggermente ferito, a suo dire per colpa d'un morso del rivale che poi è la vittima, il tassista Pier Federico Bossi: voleva ammazzarlo e c'era quasi riuscito.
ANTONIO BINI
Anzi no, perché come ha spiega nel processo per direttissima al giudice che l' ha mandato ai domiciliari, è stato l' altro a insultare per primo e trascinare un banale diverbio stradale in un ring sull'asfalto, alle 7.20 di martedì tra le vie Lepetit e Vitruvio, a breve distanza dalla stazione Centrale.
ANTONIO BINI
Il video del pestaggio, registrato da una telecamera di videosorveglianza, racconta il contrario e inquadra una persona, il 29enne Bini, inseguirne una seconda, il 48enne Bossi, riempirlo di pugni e «avvolgerlo» fino ad azzannarlo e maciullargli un lobo, anche se, al proposito, quel filmato non dà certezze né prove.
Potremmo descrivere i protagonisti attingendo alle famiglie. Il culturista è innamorato pazzo, ricambiato, della fidanzata, e che sia un amore basato sull' esaltazione dei muscoli, tra colazioni di bevande energetiche accompagnate da bigliettini scritti a penna e giornate di massacranti sedute ai pesi in palestra immortalate dai selfie, sono comunque fatti loro.
ANTONIO BINI
Del tassista si sa che è figlio della provincia e figlio d'arte, un anziano al quale non ha raccontato nulla tanto che al Corriere che gli chiedeva conto del ricovero, in serata il papà ha raccontato d' aver sentito al telefono «il Piero» e d'aver avuto conferma che non stava affatto in ospedale - oltre al lobo, ha un naso fratturato e una clavicola lussata - ma godeva di splendida salute.
Sempre il video della telecamera ha registrato un comportamento da qualcuno definito anomalo: quando Bossi, anziché scappare dopo l'iniziale assalto, lì è rimasto, barcollante, pugile alle corde, eppure forse convinto di poter reggere il colosso. Ma è apparsa piuttosto una conseguenza dello choc se non un indugiare, nell'attesa dell' arrivo delle «volanti», intervenute in breve tempo, e ancor prima nella speranza che dei passanti almeno uno lo aiutasse.
ANTONIO BINI
Non è successo, indifferenza assoluta, ed è questo uno dei dati oggettivi della contesa. Un altro è la «doppia velocità» di Bini, di lavoro impegnato in un albergo e a detta dei colleghi pacifico e affidabile, ma abituato a girare armato: gli agenti dell' Ufficio prevenzione generale diretto da Maria José Falcicchia gli hanno trovato addosso un pugnale, un anello di quelli infilati per lasciare un segno profondo in caso di cazzotto e un uncino ricavato da un tondino di ferro.
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Un arsenale da guerrigliero della giungla, non da anonimo automobilista sulla sua Yaris peraltro attraverso strade a quell'ora non trafficate. Il tassista nega d' aver provocato e ripete che il culturista gli ha urlato che avrebbe fatto la fine di «quell'altro»: Luca Massari, suo collega, un uomo mite e perbene massacrato nel 2010 da balordi italiani, pregiudicati come già prima di martedì era un pregiudicato Antonio Bini.
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