Antonio Riello per Dagospia
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Quest’anno la Tate Modern ha deciso di consacrare l’artista Sarah Lucas (nata a Londra nel 1962) con una ambiziosa esposizione che la aggiunge alla lista degli artisti che, in qualche maniera, appartengono al “patrimonio nazionale britannico”.
La sua importanza era gia’ stata confermata quando fu scelta per rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia del 2015 (con un progetto divertente ma non del tutto convincente, ci si ricorda piu’ che altro tutto quel giallo canarino che campeggiava all’interno del padiglione).
Sarah Lucas appartiene alla generazione - erano gli anni di Tony Blair - di Damien Hirst e di Tracey Emin. Quando l’Arte Contemporanea Britannica e’ diventata una avventura globale e fenomenale. Il Goldsmiths College (rinomata e impegnata scuola d’Arte) e la collezione di Charles Saatchi, con la mostra “Sensation”, erano al centro della scena mondiale.
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L’atmosfera era molto trasgressiva, ribelle e piena di ironia (qualche volta anche un po’ perfida e truce). Insomma: Sesso, Droga e Musica Punk. La personale cifra della Lucas e’ di non prendersi troppo sul serio anche quando parla di cose drammatiche. Le sue opere “cazzeggiano” con impegno, immerse in una stralunata allegria agro-dolce mista a rabbia. E in genere la sua imprevedibile irriverenza funziona brillantemente. Purtroppo qui alla Tate un po’ meno del solito.
La mostra e’ stata curata da Dominique Heyse-Moore e Amy Emmerson Martin. Ci sono di certo, con abbondanza, tutti gli elementi cruciali che ricorrono correntemente nel lavoro della Lucas: le sigarette e il fumo, il corpo femminile (gambe e tette), il membro maschile aggressivo e rapace, il sarcasmo acido e gli immancabili WC. Gli ingredienti essenziali delle sue installazioni rimangono comunque le poltrone (che all'occasione possono diventare sedie o divani).
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A causa della ripetitivita’ dei lavori scelti per la mostra (decine e decine di poltrone) in effetti l’impressione del visitatore e’ proprio quella di trovarsi in una grande esposizione di mobili. Certo i mobili ovviamente appaiono un po’ “strani”, ma quella e’ l’impressione generale. Non ci si scappa. E comunque questo risultato non sembra nemmeno una scelta intenzionale da parte dei curatori. Lo sponsor (stavolta irritualmente strombazzato e molto in evidenza) e’ BURBERRY, ma a pensarci bene - almeno per ragioni di coerenza merceologica - non stonerebbe affatto quell’azienda italiana di sofa’ che da anni martella i connazionali tele-dipendenti con la sua instancabile pubblicita’ televisiva.
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Il grande sandwich sul pavimento e qualche bel lavoro fotografico alle pareti tengono alto l’onore della mostra. L’auto a pezzi (una Jaguar) ha una sua sostanziale capacita’ visiva di disturbare (nel senso migliore del termine). Gli iconici WC sono pero’ troppo pochi e un po’ sperduti. Per il resto sembra davvero una personale decisamente sotto le aspettative, dispiace scriverlo. Non basta l’indubbio carisma dell’artista per tenere insieme un aggregato/magazzino di troppe cose.
E non basta infilare una sigaretta nel buco del culo di qualche manichino in gesso per fare trasgressione o scandalo. In sintesi, il problema sembra essere questo: quando la (comunque bravissima) Lucas espone qualche pezzo in una collettiva tutto funziona benissimo, quando si trova da sola a sostenere tutto il peso di una personale le sue opere non sempre riescono a dare il meglio. Insomma, la quantita’, in certi contesti, non le se addice particolarmente. Non e’ necessariamente colpa sua, anche chi cura le mostre ha per forza di cose le sue responsabilita’.
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Nemmeno il bookshop aiuta molto: in mezzo a souvenir non molto originali (almeno rispetto alla fama dell’artista) si cerca di vendere costosi rotoli di carta da parati che la Lucas ha decorato con seni costruiti con mozziconi di cicca. La mostra chiude il 14 Gennaio 2024.
La visita alla Tate Britain viene pero’ positivamente ri-motivata alla vista della nuova emozionante installazione, “Requiem”, di Chris Ofili (nato a Manchester nel 1968). E’ dedicata alle vittime della Grenfell Tower che tragicamente brucio’ a Londra nel 2017 uccidendo 72 persone. Tra queste c’era anche l’artista anglo-ghanese Khadija Saye (1992-2017) che Ofili conosceva molto bene. Si ammira il lavoro a lungo ed in silenzio, non serve sapere altro. Assolutamente intenso: un perfetto mix tardo contemporaneo di etica ed estetica.
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SARAH LUCAS
“HAPPY GAS”
e
CHRIS OFILI
“REQUIEM”
Tate Britain
Millbank, Londra SW1P 4RG
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