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    L'AFRICA VESTE PRADA – AL VICTORIA & ALBERT MUSEUM LA RASSEGNA “AFRICA FASHION”, SULLA CREATIVITA’ SARTORIALE AFRICANA DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI – ANTONIO RIELLO: “NIENTE COMPATIMENTI BUONISTI IN STILE MISSIONARIO. NIENTE CONCESSIONI EX-IMPERIALI DOVUTE AL PERENTORIO RIGETTO COLONIALE BRITANNICO. L’ATTEGGIAMENTO E’ LO STESSO CHE SI HA QUANDO SI RAGIONA DI MODA. BELLA O BRUTTA. BANALE O INNOVATIVA. QUELLA DELLA NORMALITA’ CHE SI LIBERA DEI SOLITI RESIDUI LESSICALI SUPERATI COME (L’EUROCENTRICO) ‘ETNICO’ E (L’IMBARAZZANTE) ‘ESOTICO’…


     
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    Antonio Riello per Dagospia 

     

    Il Victoria & Albert Museum ha organizzato una rassegna sulla creativita’ sartoriale Africana che parte dal secondo dopoguerra e arriva ad oggi. Non con il solito approccio etnologico, come si fa abitualmente quando si parla del Continente Nero, ma considerandola a tutti gli effetti parte integrante del “Sistema Moda”. Niente compatimenti buonisti in stile missionario. Niente (sussiegose) concessioni ex-imperiali dovute al perentorio rigetto coloniale Britannico. 

     

    L’atteggiamento e’ lo stesso che semplicemente si ha quando si ragiona di moda. Bella o Brutta. Banale o Innovativa. Molto-Interessante o Meno-Interessante. E gia’ questo metro di giudizio ci suggerisce che siamo sulla strada giusta. Quella della sacrosanta normalita’ che finalmente si libera dei soliti residui lessicali superati come (l’eurocentrico) “etnico” e (l’imbarazzante) “esotico”. La mostra e’ comunque parte di un insieme di attivita’ che comprende lezioni, performance, sfilate, dibattiti pubblici.

     

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    Alcuni di questi creativi si sono formati a Londra o a Parigi. Ma ce ne sono anche di completamente autoctoni, il frutto di scuole che si sono sviluppate, dopo l’affrancamento coloniale, soprattutto in Senegal, Mali, Ghana, Sudafrica e Nigeria. In pratica le attivita’ imprenditoriali legate all’abbigliamento si concentrano principalmente proprio su questi quattro paesi (due francofoni e tre anglofoni).

     

    Il primo Festival della Creativita’ Africana viene fatto nel 1966 a Dakar dove, nel 1990, inizia anche una prestigiosa Biennale d’Arte tuttora attiva. Per una sorta di inerzia culturale si pensa all’Africa come ad un gigantesco paese omogeneo con clima tropicale e abitato da gente con la pelle nera. Le varie regioni hanno invece forti differenze e (esattamente come in Europa) antiche rivalita’. Esistono insomma molte diverse (ed elaborate) culture Africane. 

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    Lo scultore El Anatsui scriveva: “le stoffe per gli abitanti dell’Africa sono l’equivalente dei monumenti in pietra per gli Europei”. Sono Identita’, Politica e Storia. Basta pensare alle opere dell’artista Yinka Shonibare… Al di la’ di qualsiasi considerazione estetica, il tessuto in quanto tale e’ stato uno degli elementi essenziali del dominio economico coloniale. Erano inizialmente prodotti in Europa ed erano imposti agli abitanti delle colonie (che dovevano comprarseli).

     

    Oppure, in seguito, sfruttando la manodopera locale venivano vantaggiosamente prodotti in Africa per essere poi esportati all’estero. Molte tecniche di stampa su tela occidentali sono state successivamente re-inventate come la cosiddetta Ankara (dappertutto la qualita’ migliore degli stampati viene in genere denominata con il termine “Holland”).

     

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    I decori realizzati in tessitura al telaio sono invece direttamente legate a pratiche tradizionali (i piu’ noti: Bo’go’-lanfini, A’di’re, Kente). Fa piacere ricordare come un magnifico libro fotografico, Gentlemen of Bacongo, realizzato dall’Italiano Daniele Tamagni nel 2009 (ed edito dalla Trolley Books fondata da Gigi Giannuzzi) abbia anticipato la inaspettata ricchezza del gusto e il piacere del vestire in questo continente.

     

    Shade Thomas-Fahm (Nigeriana) e’ stata probabilmente la prima fashion designer africana di una certa rilevanza, il suo atelier ha lavorato fin dalla meta’ degli anni 60 per un pubblico preminentemente nazionale, quella borghesia nigeriana molto attiva anche sul piano culturale (Musica e Arti visive) gia’ durante il periodo della dominazione Britannica.

     

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    Kofi Ansah (del Ghana, basato ad Accra) miscela tecniche Giapponesi, motivi Africani e tagli all’europea. Il risultato e’ sincretico e raffinato. Sa dissacrare con gusto perfino le toghe dei giudici Inglesi, trasformano in allegri abiti allegramente stilosi uno dei mostri sacri della societa’ Inglese: il paludato sistema giudiziario. Spesso trova ispirazione nelle atmosfere dell’antico regno Ashanti (i dominatori del Ghana).

     

    Alphadi (Tuaregh, legato all’ambente dei nomadi del deserto) ripensa l’abito per climi estremi senza trascurare l’eleganza. Dimostra che i colori sgargianti, sempre automaticamente associati alle estetiche dei tropici, possono essere solo un un cliche’, Alphadi infatti lavora con il bianco e nero come se i suoi abiti fossero pensati per degli uomini d’affari calvinisti (ma per fortuna, un po’ meno noiosi).

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    Chris Seydou lavora nel Mali. Intarsia virtuosamente seta e lurex all’interno di pattern tradizionali maliani. Una specie di Etro Sub-Sahariano. Molto apprezzato dal pubblico Francese.

     

    Nao Serati (di Joannesburg, Sudafrica) si occupa di abbigliamento sportivo ad altissimi livelli. L’impronta e’ Anglosassone ma il consenso mondiale. Nike in confronto sembra indietro di un bel po’….

     

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    Noentla Khumalo (Sudafrica) parte dalla spiritualita’ che viene trasformata in qualcosa da indossare. E’ una sarta-sciamana. Il rapporto con gli antenati e’ sempre l’elemento principale delle sue collezioni. In fondo anche da noi gli abiti (ricondizionati) del nonno o della nonna funzionano sempre. Ma i suoi vestiti sembra possano anche guarire, in qualche modo, i mali dell’anima…

     

    Selly Raby Kane (Senegal)una giovane signora che si ispira ad atmosfere legate all’Afro-Futurism. Movimento e geometrie sono la chiave interpretativa del suo successo.

     

    Imane Ayssi (Camerun) e’ anche danzatore, modello e performer. Di gusto e formazione francese gode ormai di una solida reputazione. Sobrio ma non monotono, sa soddisfare una clientela molto esigente, soprattutto maschile. Hugo Boss in salsa Camerunese?

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    Gouled Ahmed (Etiopia). Ha studiato a New York e opera come artista e attivista politico-ambientale. La sua attivita’ stilistica non e’ certo marginale ma consegue direttamente dal suo impegno verso la tutela delle minoranze. Si autodefinisce pubblicaemnte “non-binario” (rispetto alla propria identita’ sessuale). 

     

    Bubu Ogisi (Nigeria) stilista imprenditrice (ha fondato IAMSIGO). Uno stile forte e riconoscibile il suo. Le forme strabordanti e i colori accesi della creativita’ Nigeriana rimandano spesso ad una sorta di Pop Equatoriale. Quasi un’epigona di Elio Fiorucci…. 

    Sembrano tutti perfettamente integrati nel business (della serie: “so fare il mio mestiere e so benissimo dove voglio arrivare”).

     

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    Hanno le carte in regola per soddisfare i capricciosi requisiti della mondanita’ delle passerelle, anche come narrativa personale. Hanno superato le questioni di gender con uno slancio naturale che da noi manca: in Africa i maschi tradizionalmente si sono vestiti con caffetani e gonne lunghe, senza problemi e polemiche. Almeno per certi aspetti, il futuro prossimo della moda sta sotto il Tropico del Cancro.

     

    Da noi, tutti quelli (di Destra, di Centro e forse anche di Sinistra) a cui ogni tanto scappa il classico e famigerato “Sp..o Ne..o” dovrebbero essere coscienti che non solo stanno dicendo una fesseria moralmente intollerabile, ma che sono anche diventati degli assoluti sfigati fuori-tempo. Le tirate anti-razziste e il buonismo non centrano niente. Questi Africani sono bravi e soprattutto sanno essere molto fighi: Black is Cool.

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