Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
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Qualche tempo fa sono passato dal lago Mead. Il grande bacino formato dal fiume Colorado al quale attingono 40 milioni di americani di sette Stati Usa, è ormai ridotto a ben poca cosa: dal 2000 il livello si è abbassato di 54 metri, la portata idrica è calata dei due terzi. E, man mano che l'acqua si ritira, dal fondo emergono cadaveri: probabilmente vittime di regolamenti di conti tra i clan mafiosi che dominavano Las Vegas negli anni Settanta del Novecento. Oggi sono in Uzbekistan sulle rive di un altro grande lago, quello di Aral. Rive per modo di dire.
lago mead usa
Anche qui, ormai, ci sono solo scheletri: quelli arrugginiti di pescherecci e altre barche che affondano nella sabbia di uno specchio d'acqua ormai divenuto deserto, coi cammelli accucciati sotto le chiglie delle imbarcazioni per ripararsi dal sole e dal vento. Nel 1960 l'Aral era il quarto lago del mondo: 68 mila chilometri quadrati, come Lombardia, Piemonte e Veneto messi insieme.
Oggi ne rimane solo un pezzetto nella parte settentrionale: un decimo del lago di mezzo secolo fa. Due polmoni idrici di due Paesi che dominavano il mondo trasformati in disastri ambientali: dall'insensibilità per i mutamenti climatici del Far West americano, allergico a limiti e regole. E dalla folle pianificazione di un regime sovietico altrettanto insensibile ai mutamenti climatici e convinto di poter dominare la natura: deviare gli affluenti del lago per alimentare la produzione di cotone e trasformare l'Aral in un acquitrino nel quale coltivare riso.
la desertificazione del lago daral
Invece il ritiro delle acque ha fatto emergere centinaia di chilometri di sabbia avvelenata dagli anticrittogamici e anche da sostanze usate un tempo per studiare le armi batteriologiche: nel dopoguerra nei laboratori segreti sull'Isola della Concordia i sovietici sperimentarono antrace, vaiolo e peste. Poi l'isola svanì nel lago desertificato e svanì anche il regime sovietico.
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Per anni i venti del deserto hanno avvelenato Nukus, la città a sud del lago-fantasma dove Aimbetov Izzet Kallievich, direttore dei lavoratori di geologia dell'Accademia delle Scienze dell'Uzbekistan, si batte, insieme a pochi altri, per rivitalizzare il lago riattivando alcuni affluenti: impresa complessa resa quasi disperata dall'egoismo idrico delle altre repubbliche ex Urss che controllano le sorgenti dei fiumi. Primo assaggio di un nuovo tipo di guerre del 21esimo secolo: le guerre per l'acqua.
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