IL "GOLPE" DI KIT CAT FINITO NELLE FAUCI DELLA POLITICA
FASSINO IN AIUTO DI PIT BULLA LUCY: "LE NOMINE DOPO LE ELEZIONI"
SILVIO ALLA FINESTRA, TREMONTI NELLA MINESTRA, MARANO TRA DUE LEGHE
FASSINO IN AIUTO DI PIT BULLA LUCY: "LE NOMINE DOPO LE ELEZIONI"
SILVIO ALLA FINESTRA, TREMONTI NELLA MINESTRA, MARANO TRA DUE LEGHE
Sentivamo in questo maledetta primavera la mancanza di qualcosa, ma non capivamo bene cosa. Finché, alzando gli occhi al cielo annuvolato, abbiamo capito. Ecco cosa ci mancava: un "golpe" alla Rai. Altro che un Ribaltone qualsiasi, da hard-discount. A due mesi dalle elezioni, poi, non era mai successo. Ma sì, visto che siamo ai materassi - avrà cogitato Flavio Cattaneo - famo 'na caciara: buttiamoci sulle reti (fuori Ruffini e Marano), sulla riorganizzazione aziendale, aboliamo le divisioni, e mettiamo in piedi sei macro strutture.
Insomma, Kit Cat voleva "privatizzare" l'azienda di Stato. "Privatizzarla" in nome di un blocco di potere, molto trasversale - formato da 'Gnazio La Russa (che è poi il burattinaio di Cattaneo e di Maurizio Gasparri), dal forzista Paolo Romani, dal raista aennino Guido Paglia e, ultimo arrivato, dal diavoletto Giulietto Tremonti. (Non a caso si scrive che alla direzione Amministrazione e Finanza dove dovrebbe arrivare un manager esterno indicato dall'azionista (ovvero dal Ministero dell'Economia); la direzione Acquisti e Servizi (anche per questa si parla della nomina di un manager esterno indicato dall'azionista Tremonti).
In totale, due dozzine di nomine che avrebbero cambiato il corpo della Rai. Usiamo il condizionale perché nel gioco di Kit Cat è entrato, questo pomeriggio, a piedi giunti Piero Fassino. Il segretario Ds, da Bari, dove è in compagnia di Francesco Rutelli, ha mandato via agenzie un secco aut-aut: "Stop alle nomine fino al dopo elezioni". A seguire il consigliere Giorgio Rumi, quota Udc, ha tenuto a comunicare la sua distanza dal "golpe" cattanesco.
Una botta politica che dovrebbe mandare all'aria il nuovo organigramma - in agenda lunedì e martedì prossimi - di questo povero manager che non sa cosa vuol dire dirigere la Rai: non basta battere 4 a 1 Lucia Annunziata in CdA perché poi arriva la Politica, con la P maiuscola, e ti manda a scopare il mare.
Del resto il piano di Kit Cat era solo un estremo tentativo di conquistarsi qualche bonus per ottenere, dopo il 13 giugno, un posto alle Ferrovie o alle Poste Italiane. Lo sa benissimo che Berlusconi - che in tutta questa storia sta beato alla finestra - lo vuol cacciare. Per due motivi: intanto Cattaneo ha fatto il meneghino furbetto annunciando a più riprese di essere "autonomo" di qua e di là con Mediaset; ma soprattutto il Cavaliere lo detesta (al punto che alla cena dell'Indipendente non gli ha rivolto parola) per il "crollo del fatturato politico" della Rai polista.
Un Tg2 che passa dal 13 al 7 per cento, è roba da calci sugli stinchi. Un Socci, caro a Silvio, che viene buttato allo sbaraglio e allo sbadiglio e racimola 4 pernacchie in prima serata. All'epoca Saccà direttore generale, Antonio Socci era seguito passo passo, scaletta compresa. Non solo. Tutta l'ala filo-berluscona della Rai, capitanata da Saccà-Del Bufalo-Bergamini, affila tutti i giorni le lame con il fritto-misto cucinato da La Russa-Romani.
Per dimostrare ai posteri la sua statura di manager palluto, e per aggirare la Pit Bulla Annunziata, l'ingenuo Kit Cat ha tentato di prendere all'amo pezzi di sinistra: dal diesse migliorista Marcello Del Bosco a Carlo Freccero, fino al colpo magico: il prodista Giuseppe Cereda al posto del margheritone Paolo Ruffini. Solo che Cereda, pressato dalla Politica, ha risposto picche: non faccio la foglia di fico. Così, anche l'altra "dismissione", quella di Marano, è andata a farsi fottere.
Il tentativo di cacciata di Marano, infine, merita qualche riga di approfondimento. Essendo un mero regolamento di conti all'interno della Lega, decapitata del suo leader Bossi. Il direttore di Rai2 appartiene al cosiddetto "clan dei varesotti", capitanato da Bobo Maroni, che è in guerra eterna con il "clan dei brianzoli", guidato da Roberto Calderoni, Stefano Stefani e dal direttore de "La Padania" Gigi Moncalvo. In questa guerra di successione, il primo a finire sulla graticola doveva essere il Mezzo Banano. Che è stato maciullato l'altro giorno da una terribile lettera di Gigi Moncalvo, a l'Unità, che riassume Rai2 "in questi quattro.... principi: troie-troiette-vallette-marchette..."
Egregio Sig. Direttore,
vedo che il Suo Giornale (lo ha fatto perfino Marco Travaglio, nonostante sia solitamente bene informato e documentato) continua a indicarmi tra gli ospiti fissi e gli... opinionisti attuali o futuri del programma di Socci su Raidue. Non è vero. Anche perché io da tempo preferisco Aldo Biscardi (e le sconfinate platee che solo lui permette di raggiungere) e rifiuto gli inviti di tutti i programmi di quella Rete Rai dato che io non voglio avere niente a che fare con il Direttore della stessa, a causa di alcune sue ripetute e documentabili menzogne e scorrettezze che riguardano la mia modesta persona.
Ma questo vale fino a un certo punto. L'aspetto fondamentale è un altro: da tempo immemorabile nutro forti dissensi sulla "linea editoriale" della settima rete italiana, riassumibili in questi quattro.... principi: troie-troiette-vallette-marchette. Mi auguro, prima di tutto da telespettatore, che qualcuno prima o poi ponga, finalmente, un argine a tutto questo. Un cordiale saluto con la speranza che abbiate la compiacenza di non associare più il mio nome a quello di certa gente, Socci escluso.
ALLA RAI VA IN ONDA LA GRANDE SVENDITA
Giovanni Valentini per La Repubblica
Nel silenzio e nell´indifferenza generale il vertice della Rai, imposto dal centrodestra e in particolare dal partito-azienda che fa capo al polo televisivo privato, si appresta a mettere in vendita il patrimonio immobiliare dell´ente di Stato, con un´operazione che - fatte naturalmente le debite proporzioni - assomiglia alla "ricostruzione" dell´Iraq.
A pochi mesi dalla discutibile corsa all´acquisto delle frequenze per il digitale terrestre, denunciata e stoppata dallo stesso presidente dell´azienda, la prossima settimana la direzione generale sottoporrà al Consiglio di amministrazione un "Piano Industriale" che rischia in realtà di avviare una grande liquidazione o addirittura uno smantellamento dell´ente pubblico.
E per di più, con una riorganizzazione interna, un "tourbillon" di nomine e un valzer di poltrone, proprio alla vigilia di una tornata elettorale importante come quella per le europee e le amministrative di metà giugno.
Con l´eccezione isolata del "presidente di garanzia", Lucia Annunziata, tutto ciò sta avvenendo in un contesto di insensibilità politica verso la più grande industria culturale del Paese: non interviene la Commissione parlamentare di Vigilanza che pure avrebbe l´obbligo istituzionale di farlo; non si pronuncia il ministero dell´Economia che è tuttora l´azionista di riferimento dell´azienda e alla fine sarà il responsabile principale di questo disastro annunciato; e non reagisce con forza il centrosinistra che assiste inerte o impotente alla svendita dell´ente pubblico.
Non si mobilita neppure quel partito trasversale della Rai che passa tra gli opposti schieramenti e anche al loro interno. Il cosiddetto "Piano Industriale", secondo informazioni di fonte parlamentare, prevede un investimento complessivo di circa 800 milioni di euro: 300 per infrastrutture di rete e 500 per "investimenti immobiliari aggiuntivi".
Questi ultimi riguardano la costruzione di un "Saxa Rubra 2", cioè di un nuovo centro di produzione alle porte della Capitale, e l´acquisizione di "una sede di alta rappresentanza nel centro di Roma". A parte la questione dei costi, una tale intenzione però «non è stata mai sottoposta alle valutazioni del Consiglio nonostante il suo altissimo valore simbolico e d´immagine», come reclama il presidente Annunziata nella nota trasmessa al Parlamento.
Trecento milioni di euro dovrebbero essere ricavati dalla cessione degli immobili "storici" di viale Mazzini e di via Teulada a Roma, insieme a quello di corso Sempione a Milano: la sede lombarda verrebbe trasferita presso la Fiera, da dove proviene appunto il direttore generale della Rai, con la sua esperienza di immobiliarista alle spalle. Cento milioni sono previsti nel Piano 2004-2006. Ma gli altri 400 non si sa bene da dove possano arrivare.
E infatti, lo stesso presidente dell´azienda si chiede nella sua memoria: «Quale sarà a regime l´equilibrio tra costi e benefici tanto nel digitale quanto nell´immobiliare? Non rischiamo di scaricare sugli esercizi successivi al Piano degli oneri non sostenibili?».
Questo progetto, insomma, non ha una copertura certa e precisa. Né tantomeno un´ipotesi concreta di fattibilità. Tra le righe del Piano, si può leggere invece la volontà di ridimensionare il ruolo e la funzione del servizio pubblico, per assoggettarlo alla "tirannide della maggioranza", omologarlo sul piano culturale e privarlo definitivamente di un minimo di pluralismo.
Nel frattempo, a spese di tutti noi, il governo Berlusconi stanzia 110 milioni di euro per i contributi statali all´acquisto o al noleggio dei decoder che dovrebbero consentire ai telespettatori di vedere la tv digitale vagheggiata dalla legge Gasparri. E questa a sua volta consentirà al gruppo Berlusconi di aumentare le proprie entrate di altri 1-2 miliardi di euro all´anno (dichiarazione di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, 2, 5 miliardi di fatturato nel 2003). Non c´è che dire: un bell´affare per l´azienda del presidente del Consiglio.
Dagospia 03 Aprile 2004
Insomma, Kit Cat voleva "privatizzare" l'azienda di Stato. "Privatizzarla" in nome di un blocco di potere, molto trasversale - formato da 'Gnazio La Russa (che è poi il burattinaio di Cattaneo e di Maurizio Gasparri), dal forzista Paolo Romani, dal raista aennino Guido Paglia e, ultimo arrivato, dal diavoletto Giulietto Tremonti. (Non a caso si scrive che alla direzione Amministrazione e Finanza dove dovrebbe arrivare un manager esterno indicato dall'azionista (ovvero dal Ministero dell'Economia); la direzione Acquisti e Servizi (anche per questa si parla della nomina di un manager esterno indicato dall'azionista Tremonti).
In totale, due dozzine di nomine che avrebbero cambiato il corpo della Rai. Usiamo il condizionale perché nel gioco di Kit Cat è entrato, questo pomeriggio, a piedi giunti Piero Fassino. Il segretario Ds, da Bari, dove è in compagnia di Francesco Rutelli, ha mandato via agenzie un secco aut-aut: "Stop alle nomine fino al dopo elezioni". A seguire il consigliere Giorgio Rumi, quota Udc, ha tenuto a comunicare la sua distanza dal "golpe" cattanesco.
Una botta politica che dovrebbe mandare all'aria il nuovo organigramma - in agenda lunedì e martedì prossimi - di questo povero manager che non sa cosa vuol dire dirigere la Rai: non basta battere 4 a 1 Lucia Annunziata in CdA perché poi arriva la Politica, con la P maiuscola, e ti manda a scopare il mare.
Del resto il piano di Kit Cat era solo un estremo tentativo di conquistarsi qualche bonus per ottenere, dopo il 13 giugno, un posto alle Ferrovie o alle Poste Italiane. Lo sa benissimo che Berlusconi - che in tutta questa storia sta beato alla finestra - lo vuol cacciare. Per due motivi: intanto Cattaneo ha fatto il meneghino furbetto annunciando a più riprese di essere "autonomo" di qua e di là con Mediaset; ma soprattutto il Cavaliere lo detesta (al punto che alla cena dell'Indipendente non gli ha rivolto parola) per il "crollo del fatturato politico" della Rai polista.
Un Tg2 che passa dal 13 al 7 per cento, è roba da calci sugli stinchi. Un Socci, caro a Silvio, che viene buttato allo sbaraglio e allo sbadiglio e racimola 4 pernacchie in prima serata. All'epoca Saccà direttore generale, Antonio Socci era seguito passo passo, scaletta compresa. Non solo. Tutta l'ala filo-berluscona della Rai, capitanata da Saccà-Del Bufalo-Bergamini, affila tutti i giorni le lame con il fritto-misto cucinato da La Russa-Romani.
Per dimostrare ai posteri la sua statura di manager palluto, e per aggirare la Pit Bulla Annunziata, l'ingenuo Kit Cat ha tentato di prendere all'amo pezzi di sinistra: dal diesse migliorista Marcello Del Bosco a Carlo Freccero, fino al colpo magico: il prodista Giuseppe Cereda al posto del margheritone Paolo Ruffini. Solo che Cereda, pressato dalla Politica, ha risposto picche: non faccio la foglia di fico. Così, anche l'altra "dismissione", quella di Marano, è andata a farsi fottere.
Il tentativo di cacciata di Marano, infine, merita qualche riga di approfondimento. Essendo un mero regolamento di conti all'interno della Lega, decapitata del suo leader Bossi. Il direttore di Rai2 appartiene al cosiddetto "clan dei varesotti", capitanato da Bobo Maroni, che è in guerra eterna con il "clan dei brianzoli", guidato da Roberto Calderoni, Stefano Stefani e dal direttore de "La Padania" Gigi Moncalvo. In questa guerra di successione, il primo a finire sulla graticola doveva essere il Mezzo Banano. Che è stato maciullato l'altro giorno da una terribile lettera di Gigi Moncalvo, a l'Unità, che riassume Rai2 "in questi quattro.... principi: troie-troiette-vallette-marchette..."
Egregio Sig. Direttore,
vedo che il Suo Giornale (lo ha fatto perfino Marco Travaglio, nonostante sia solitamente bene informato e documentato) continua a indicarmi tra gli ospiti fissi e gli... opinionisti attuali o futuri del programma di Socci su Raidue. Non è vero. Anche perché io da tempo preferisco Aldo Biscardi (e le sconfinate platee che solo lui permette di raggiungere) e rifiuto gli inviti di tutti i programmi di quella Rete Rai dato che io non voglio avere niente a che fare con il Direttore della stessa, a causa di alcune sue ripetute e documentabili menzogne e scorrettezze che riguardano la mia modesta persona.
Ma questo vale fino a un certo punto. L'aspetto fondamentale è un altro: da tempo immemorabile nutro forti dissensi sulla "linea editoriale" della settima rete italiana, riassumibili in questi quattro.... principi: troie-troiette-vallette-marchette. Mi auguro, prima di tutto da telespettatore, che qualcuno prima o poi ponga, finalmente, un argine a tutto questo. Un cordiale saluto con la speranza che abbiate la compiacenza di non associare più il mio nome a quello di certa gente, Socci escluso.
ALLA RAI VA IN ONDA LA GRANDE SVENDITA
Giovanni Valentini per La Repubblica
Nel silenzio e nell´indifferenza generale il vertice della Rai, imposto dal centrodestra e in particolare dal partito-azienda che fa capo al polo televisivo privato, si appresta a mettere in vendita il patrimonio immobiliare dell´ente di Stato, con un´operazione che - fatte naturalmente le debite proporzioni - assomiglia alla "ricostruzione" dell´Iraq.
A pochi mesi dalla discutibile corsa all´acquisto delle frequenze per il digitale terrestre, denunciata e stoppata dallo stesso presidente dell´azienda, la prossima settimana la direzione generale sottoporrà al Consiglio di amministrazione un "Piano Industriale" che rischia in realtà di avviare una grande liquidazione o addirittura uno smantellamento dell´ente pubblico.
E per di più, con una riorganizzazione interna, un "tourbillon" di nomine e un valzer di poltrone, proprio alla vigilia di una tornata elettorale importante come quella per le europee e le amministrative di metà giugno.
Con l´eccezione isolata del "presidente di garanzia", Lucia Annunziata, tutto ciò sta avvenendo in un contesto di insensibilità politica verso la più grande industria culturale del Paese: non interviene la Commissione parlamentare di Vigilanza che pure avrebbe l´obbligo istituzionale di farlo; non si pronuncia il ministero dell´Economia che è tuttora l´azionista di riferimento dell´azienda e alla fine sarà il responsabile principale di questo disastro annunciato; e non reagisce con forza il centrosinistra che assiste inerte o impotente alla svendita dell´ente pubblico.
Non si mobilita neppure quel partito trasversale della Rai che passa tra gli opposti schieramenti e anche al loro interno. Il cosiddetto "Piano Industriale", secondo informazioni di fonte parlamentare, prevede un investimento complessivo di circa 800 milioni di euro: 300 per infrastrutture di rete e 500 per "investimenti immobiliari aggiuntivi".
Questi ultimi riguardano la costruzione di un "Saxa Rubra 2", cioè di un nuovo centro di produzione alle porte della Capitale, e l´acquisizione di "una sede di alta rappresentanza nel centro di Roma". A parte la questione dei costi, una tale intenzione però «non è stata mai sottoposta alle valutazioni del Consiglio nonostante il suo altissimo valore simbolico e d´immagine», come reclama il presidente Annunziata nella nota trasmessa al Parlamento.
Trecento milioni di euro dovrebbero essere ricavati dalla cessione degli immobili "storici" di viale Mazzini e di via Teulada a Roma, insieme a quello di corso Sempione a Milano: la sede lombarda verrebbe trasferita presso la Fiera, da dove proviene appunto il direttore generale della Rai, con la sua esperienza di immobiliarista alle spalle. Cento milioni sono previsti nel Piano 2004-2006. Ma gli altri 400 non si sa bene da dove possano arrivare.
E infatti, lo stesso presidente dell´azienda si chiede nella sua memoria: «Quale sarà a regime l´equilibrio tra costi e benefici tanto nel digitale quanto nell´immobiliare? Non rischiamo di scaricare sugli esercizi successivi al Piano degli oneri non sostenibili?».
Questo progetto, insomma, non ha una copertura certa e precisa. Né tantomeno un´ipotesi concreta di fattibilità. Tra le righe del Piano, si può leggere invece la volontà di ridimensionare il ruolo e la funzione del servizio pubblico, per assoggettarlo alla "tirannide della maggioranza", omologarlo sul piano culturale e privarlo definitivamente di un minimo di pluralismo.
Nel frattempo, a spese di tutti noi, il governo Berlusconi stanzia 110 milioni di euro per i contributi statali all´acquisto o al noleggio dei decoder che dovrebbero consentire ai telespettatori di vedere la tv digitale vagheggiata dalla legge Gasparri. E questa a sua volta consentirà al gruppo Berlusconi di aumentare le proprie entrate di altri 1-2 miliardi di euro all´anno (dichiarazione di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, 2, 5 miliardi di fatturato nel 2003). Non c´è che dire: un bell´affare per l´azienda del presidente del Consiglio.
Dagospia 03 Aprile 2004